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Slega il cane!

Slega il cane!

Una premessa
Nessun cane da combattimento, o per lo meno quelli che vengono considerati tali, combatte mai per ferocia innata o indotta. L’addestramento viene portato avanti grazie all’infinita dedizione dell’animale nei confronti del padrone. Danny combatte perché è l’unica via di espressione che conosce. E’ un personaggio che la sceneggiatura (firmata da un’ormai sempre più impalpabile Luc Besson) ci presenta come il feticcio di un essere umano, la parte non pensante di noi e forse per questo più aggressiva. Questo non fa di lui un cane, ma altresì l’icona di una umanità ridotta o forse semplicemente non approfondita. Sono invece gli atteggiamenti più innocenti che lo muovono a rompere le sbarre della sua prigione esistenziale, l’unico appropriato indizio di un riferimento al mondo canino. Il resto è il frutto della stereotipizzazione e dei complessi di colpa di una società dal modo di vedere sempre più “cinofobico”.

Il Feticcio
L’arma che consente a Burt (Bob Hoskins) di mantenere in schiavitù Danny (Jet Li), guerriero praticamente invincibile, è un semplice collare arrugginito, un controller in grado di scatenare gli irrefrenabili impulsi aggressivi del giovane (forse non troppo per la parte) asiatico. Il sistema di addestramento rimarrà un mistero per tutto il film, volto più a mostrare l’accostamento tra i momenti di furore e la tranquillità della cattività dell’uomo-cane. Servirebbe forse a contestualizzare e a caratterizzare maggiormente il personaggio, troppo scarno nelle sue due sole espressioni del volto (insensibile apatico e insensibile furibondo). Servirebbe inoltre per concentrarsi meglio e far riflettere sul significato dell’oggetto come icona e come medium per esercitare potere e controllare attitudini e comportamenti. Ma forse è un po’ troppo per il nostro Luc Besson, che sta ancora trovando il modo per sconfiggere il mostro finale di Tekken 3.

Uomini ed eroi
Ma dov’è la polizia di Glasgow? Ora, in questo genere di trasposizione cinematografica nessuno pretende uno spaccato di realtà dei suburbs britannici in pieno stile kenlouchiano, ma indubbiamente un minimo in più di attenzione alla credibilità del narrato non guasterebbe. Se non altro per garantire un po’ di credibilità alla pellicola. La realtà rappresentata, invece, è sempre parziale, gli scontri caotici (tutti contro, ma per carità, uno alla volta) l’azione accelerata in pieno stile wuxia, per consentire un maggior divertimento dello spettatore, ma sempre a scapito della credibilità dell’insieme. Insomma la pellicola risulta frenetica e diseguale nel garantire la giusta distinzione tra la sfera dell’uomo e quella delle sue gesta.

Soundtrack & distribution
Infine le note positive. Di gran livello, infatti, la colonna sonora firmata Massive attack. Sound liquido e sonorità estreme, piano e drum‘n’base che lasciano il segno. Un progetto musicale nato ancora prima di quello cinematografico, ventuno brani tra indie rock, piano elettrico ed archi.
Interessante anche il progetto di guerrilla war messo in piedi dalla casa di distribuzione per promuovere il film. Come per The Blair Witch Project (id., Daniel Myrick e Eduardo Sánchez, 1999), una storia fittizia è stata messa on-line, e non solo, dai curatori della casa di distribuzione. Si millantava infatti l’esistenza di un giovane obbligato a combattere in un giro di lotte clandestine contro la sua volontà. Volantini in metropolitana con la scritta «Salviamo Danny» e dallo stile finto amatoriale hanno fatto il resto. Veniva citato anche un sito (www.salviamodanny.org) sulla cui homepage, creata apposta con uno stile finto-new-surfer, si riprende la storia dell’uomo-schiavo, con tanto di petizione da firmare per salvarlo. Viene anche citato un regista che avrebbe girato un documentario sulla sua vicenda. Insomma in pieno stile Besson, grande attenzione ai particolari e al cast, ma molto poca alla cosa più importante allo spegnersi delle luci: il film.

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