Nel nome del padre, del figlio e dello spirito Steam
Un grande autore lo si riconosce da piccoli dettagli immersi in grandi progetti. Lui, il signor Katsuhiro Otomo, si prende il tempo che gli serve ed è convito che per realizzare opere del suo calibro ci possano volere anche più di sedici anni, oltre che un budget totale di 2,4 miliardi di yen (ben ventidue milioni di dollari). Prima di dare alla luce il suo nuovo capolavoro e di presentarlo nel 2004 alla 61° Mostra di arte cinematografica di Venezia, Otomo si circonda di un’equipe di grandi professionisti ed esperti di alta tecnologia. Nel 1997 rende Steamboy il progetto chiave della Digital Engine Framework, un programma creato allo scopo di sviluppare la tecnica digitale fino a condurla a uno standard internazionale. Quello stesso anno il suo video promozionale viene presentato all’International Fantastic Film Festival di Tokyo come parte della rassegna Emotion Anime for the New Century dove suscita grandi aspettative nella vasta comunità di fan degli anime.
La cura maniacale del dettaglio in questi casi è ciò che fa la differenza, e che ha richiesto lunghi anni di lavoro tra sperimentazione tecnologica e innovazione delle tecniche dell’animazione digitale. Lui costruisce un suo mondo, o meglio lo ricrea, lo disegna, lo anima, da vita alle sue idee e ci consegna così la sua visione cinematografica della rivoluzione industriale, intrisa di un forte determinismo tecnologico.
Ambientate tra Manchester e Londra, le vicende permettono allo spettatore di rivivere con la fantasia una storia che ricostruisce alla perfezione ambienti, palazzi e costumi dell’epoca, per poi abbandonarsi alle bizzarre peripezie di personaggi che prendono forma e colore sullo schermo, staccandosi nettamente dal contesto in cui si muovono. I tratti schizzati con cui vengono rappresentate le figure umane, opposti alla minuziosa cura del particolare paesaggistico-ambientale, divengono necessari per distinguere il piano della realtà rappresentata da quello della pura fantasia creativa messa in scena. Otomo tiene a precisare al suo spettatore che seppur le ricostruzioni cercano di essere il più fedele possibile, le vicende e i suoi protagonisti sono frutto del genio creativo della sua mente, che è riuscita ad animare la sua storia con una maestria tale da dover sottolineare questo scostamento finzionale. Seguendo la scia che il vapore ha ormai lasciato dietro di sé, lo spettatore si ritrova immerso in una scintillante battaglia tecnologica che riporta la sua mente ai giorni nostri e all’atroce spettacolo quotidiano di guerre, divenute scenari ormai familiari sul piccolo come sul grande schermo.
Il vapore (lo steam) a tal proposito assume un ruolo pregnante ma funzionale a mantenere esplicito il contesto di riferimento: il passato viene in questo modo visivamente tenuto ad una distanza temporale maggiore di quella a cui Otomo effettivamente vuole alludere. A conferma di ciò, dietro le corazze alate dei paracadutisti, sebbene sembrino robot che volano grazie a propulsori a vapore, ci sono degli uomini. Questi kamikaze a vapore hanno delle bombe legate alla cintura e si lasciano saltare in aria proprio come quei piloti giapponesi che si schiantavano con i loro aerei sulle navi americane, o come quei terroristi che oggi si fanno saltare imbottiti di esplosivo su di un autobus. La morale della favola diviene allora esplicita se si pensa quindi alla trama come a uno scontro generazionale tra membri di una stessa famiglia.
Il nonno, il padre e il giovane Ray si affrontano sullo scenario di un’esposizione degenerata in guerra dimostrativa. Il saggio capostipite Steam crederà fino alla morte che l’evoluzione delle macchine e il progresso tecnologico possano e debbano servire a produrre benefici per l’umanità, e non a determinarne la sua autodistruzione per mezzo della guerra. Per questa ragione ha un gran valore l’incipit del film: è qui che ha inizio l’avventurosa staffetta di Ray a bordo del suo motociclo a vapore. Il suo compito è quello di proteggere una sfera che il nonno gli ha affidato per tenerla alla larga dalla portata di uomini senza scrupoli. La consegna al giovane Steam della sfera, metaforicamente sembra un passaggio del testimone; l’obbiettivo di questa corsa ad ostacoli contro il tempo è riuscire a preservare il mondo prima che sia troppo tardi e che quella preziosa sfera, che simboleggia la tecnologia e i suoi valori positivi, finisca nelle mani sbagliate e venga utilizzata per scopi malefici.
Recuperando il passato, con la sua fantasia Otomo ci svela le origini di un disastroso presente, mostrandocene le cause, lascia presagire le intuibili conseguenze di un futuro di guerre e d’involuzione della razza umana. A suo modo il regista, con i mezzi che gli competono, ci suggerisce un uso alternativo della tecnologia, e lo fa a regola d’arte mostrando il frutto del lavoro di questi anni. Ne nasce un affresco dipinto a mano e animato dalle macchine, il cui valore maggiore è riposto nei saggi principi del capostipite Steam, che rimbombano di questi tempi come una lezione morale di etica della tecnologia. Le speranze per un futuro migliore sono riposte nel giovane Ray, rappresentante di una nuova generazione a cui è lasciato in eredità il destino del mondo. A lui è quindi affidata la responsabilità di poter determinare l’uso e la funzione sociale che della scienza da quel giorno in poi se ne vorrà fare.
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