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Stasera mi affitto un horror

Stasera mi affitto un horror

Una storia già vista (sei ragazzi in un posto inquietante che cercano di salvarsi la vita), e una serie di espedienti cinematografici già noti e ricorrenti nel cinema horror. A metà tra Venerdì 13 (Friday the 13th, Sean S. Cunningham, 1980) e Non aprite quella porta (The Texas Chain Saw Massacre, Tobe Hooper, 1974), La maschera di cera parte da forme cinematografiche già note per approdare a un film gradevole e ben fatto. Prodotto da Joel Silver e Robert Zemeckis, segna il debutto alla regia cinematografica di Jaume Serra (già autore di spot e videoclip), ed è il remake dell’omonimo film del 1953 (diretto da Andrè De Toth).
Chi si aspettava un film trash e in tono con i rifiuti cinematografici che affollano le discariche di fine stagione, è rimasto deluso. Nonostante possa sembrare il classico remake imprigionato nella mania da effetto speciale, in realtà è un film tecnicamente discreto e mai invadente.

Già l’intro piace per il suo non mostrare, per l’omissione volontaria di particolari che solo in seguito verranno svelati. La macchina da presa esplora le strade in maniera trasversale, si sofferma su piccoli particolari del viso, si muove all’interno degli spazi alimentando la sottile linea di tensione che accompagna tutto il film. Al contempo la fotografia si amalgama perfettamente con l’evoluzione drammaturgia della storia e soprattutto con la diversità degli ambienti, passando dai colori gelidi del museo di inizio film ai colori caldi dell’incendio finale, divenendo sublime nelle scene al buio (enigmatiche e cariche di tensione).
Film davvero sadico e crudele. Torture che lasciano perplessi, atrocità che vengono compiute di colpo, senza preavviso, con una crudeltà che va a spingere su quel dettaglio che mai ci si aspetterebbe. Lo spettatore diviene così partecipe di uno spietato rituale che, vittima dopo vittima, accresce il suo stato d’ansia, fino a farlo sobbalzare letteralmente dalla sedia. Inoltre la città interamente di cera è il luogo ideale in cui contrapporre la staticità delle statue alla dinamicità dei personaggi, in preda alla fuga, al dolore, alla paura. Davvero ammirevoli le scene nel museo, che riescono in alcuni momenti ad alzare il livello di tensione a mille e in cui è visibile un bel minestrone di forme cinematografiche tipiche del cinema dell’orrore.

C’è anche il tempo per citare un film nel film, all’interno di una sala che neanche a dirlo dispone di un pubblico di cera, che assiste alla proiezione di Che fine ha fatto Baby Jane? (What Ever Happened to Baby Jane?, Robert Aldrich, 1962) con Bette Davis. Un’allusione allo spettatore cinematografico moderno o una comoda situation in cui giocare mischiando gli spettatori in carne ed ossa a chi invece si è visto imbalsamare con una colata di cera liquida? Forse non lo sapremo mai, o forse è anche sciocco chiederselo. Quello che invece non può passare inosservato è il debutto cinematografico della famosissima (almeno in America) Paris Hilton, ripagata del suo denaro e della sua fama con una morte davvero atroce.
Il finale, come da tempo avviene al cinema, lascia l’amaro in bocca. Forse un film che ha quasi sempre utilizzato tecniche cinematografiche note avrebbe almeno potuto risparmiarci il ridondante assassino immortale, oltre a una conclusione hollywoodiana che rischia di ricordare I predatori dell’arca perduta (Raiders of the Lost Ark, Steven Spielberg, 1981).
Ma se da un lato La maschera di cera non aggiunge nulla di nuovo al cinema odierno, non si può ignorare il fatto che sia un film godibile e ben strutturato, che quantomeno ripaga la spesa del biglietto.

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