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Città bastarda

Città bastarda

«Non hai la dannata idea di come sei arrivato in questo fottuto posto. Forse ti sei addormentato in treno, hai superato la tua fermata».*

Sin City non è solo una città di bastardi, Sin City è una città bastarda. Sua madre è la regina delle puttane, si chiama cultura pop americana. I padri illegittimi sono sgherri sfregiati e scaricatori di porto, gente poco raccomandabile abituata a prendere la situazione per i capelli. Hanno nomi da fare fischiare gli orecchi e rizzare i peli dell’ombelico. Mickey Spillane, dalla polpa più rossa della letteratura Hard Boiled, alcuni giganti sadici del cinema noir, mostri romantici e iconoclasti del fumetto da Milton Caniff a Carlos Sampayo, certi ceffi scappati dal set di Il mucchio selvaggio e la crasi dei reietti di tutte le metropoli americane impazzite. Tipi duri, ma soprattutto tipi con l’arnese sempre duro e appuntito e sempre pronto a violentare e fecondare per primo la grande regina.

«Per fortuna hai ancora il tuo portafoglio. Visti i locali, quelli che stanno ancora in piedi, è un miracolo».

Registi dell’orgia nazional popolare sono Robert Rodriguez, lo stesso fumettista Frank Miller e con “un dollaro d’onore” in mano, Quentin Tarantino, convertito (secondo Rodriguez) alla CGI. Nasce così l’ennesimo “bastardo”, l’ultimo figlio di una cultura che divora e assimila linguaggi diversi (quello iconico del fumetto) e lo monumentalizza in un altro sistema segnico, il cinema postmoderno. Forse Miller imbalsama un fumetto nato con un cuore cinetico e cinematografico. Forse per la prima volta potremo parlare di graphic-cine-comic e non di semplice film-fumetto e forse, come dice Rodriguez, ci troviamo di fronte a una vera e propria “traduzione” visiva invece che a un mero “adattamento”, tipo Spiderman post-Playstation & co.

«Non hai niente da fare e cammini. Superi un barbone che è coperto dal suo vomito. Il foglio di un giornale, portato dal vento, si attacca alla tua gamba. C’è del sangue sopra. Il marciapiedi è pieno di mozziconi di sigarette».

Tanti “forse”, ma una certezza ce l’ho. Sin City è uno dei pochissimi film girati tutti digitalmente in studio e poi ricostruiti al computer. Tecnica che con i recenti Sky Captain and the World of Tomorrow (id., Kerry Conran, 2004) e il francese Immortal ad Vitam (id., Enki Bilal, 2004) non aveva entusiasmato. Gli attori che recitano da soli senza nemmeno sapere con chi “realmente” parleranno nel film, costruivano artificialmente la recitazione e raffreddavano il racconto. Sin City, il film, ha invece personaggi veri, vividi, dalla psicologia inquadrata in un genere solido e disegnata da uno dei più grandi geni grafici americani. I personaggi prendono la forma e l’animo guerriero di un vichingo dalle ombre, dalla notte, dal nero e diventano (o già erano predestinate a essere) un mastodontico Mickey Rourke, un temerario Bruce Wills, un eroico Clive Owen e un irriconoscibile Benicio Del Toro.

«Il tizio che incontri dopo ha un coltello in quello che doveva essere il suo occhio.
Poi il rumore del motore di una V8 irrompe nella notte. Una Cadillac El dorado 58 scintillante: sembra volare».

Sin City sfonda una frontiera: non ha la sceneggiatura. Siamo dentro un fumetto che ha per story board i primi tre episodi della serie (In City, The Big Fat Kill, That Yellow Bastard), che ha come inquadrature e immagini delle art work di culto, e un montaggio che segue forse anche troppo pedissequamente la story board.
Sin City ammicca. E’ una città bastarda e pure un po’ puttana. Non del genere triste, dura e strafatta, quella che ti aspetteresti. E’ splendida e calda. Molto sicura di sè e bellissima. Ti sorride e tu lo senti nella tasca dei pantaloni.
Tale madre, tale figlia.

«Forse sei morto e sei finito all’inferno. Deve essere così.
Ben venuto a Sin City».

Curiosità
Rodriguez ha voluto a tutti i costi la doppia regia, sfidando la rigidità della Director’s guild of America, cioè il sindacato dei registi, dal quale ha dovuto uscire per proteggere l’opera di Miller.
La targa sulla macchina del cattivissimo Bastardo Giallo interpretato da Nick Stahl è la TYB 069, che sta per «That Yellow Bastard».
La pistola che ha in mano Hartigan, cioè Bruce Willis, la Beretta M93R Auto 9 che usava Robocop negli omonimi film, autocitazione di Miller che scrisse il secondo e il terzo episodio.
Shellie, cioè Brittany Murphy, la ragazza che si contendono Clive Owen e Benicio Del Toro, serve la Chango Beer, la birra preferita di Rodriguez che c’è in tutti i suoi film
Frank Miller è un prete che viene liquidato da Marv in pieno confessionale, Rodriguez lo troviamo con il cappellone bianco nel bar di Kadie, mentre Tarantino è seduto vicino a Marv quando entra Bruce Willis nel bar e sta ballando Jessica Alba.
E’ già in cantiere Sin City 2 che dovrebbe uscire nel 2007

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