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Lacrime di cammello

Lacrime di cammello

Luigi Falorni e Byambasuren Davaa sembrano essere diretti discendenti della tradizione documentaristica del pioniere Robert Flaherty, inventore del documentario antropologico con quel suo Nanuk l’esquimese (Nanook of the north, 1922) che per la prima volta indagava nelle abitudini di vita di un popolo lontano dalla cultura occidentale. In questo caso lo spunto è dato dal rapporto mai nato tra una cammella e il suo piccolo, ma ciò che appare più interessante è lo sguardo etnografico che il film offre sulle ultime popolazioni nomadi della Mongolia meridionale. Vita semplice, non necessariamente povera, una condizione pre-moderna che fa a meno delle comodità a cui noi siamo abituati ma che conosce ciò che la tecnologia offre.

Il pretesto per questo film è stato offerto dal lavoro finale per la scuola del cinema di Monaco. Il documentario trasforma un evento traumatico e il percorso di riavvicinamento tra gli animali grazie all’uomo in una favola moderna, in cui tutto appare riconciliante al punto di sembrare finto. Lo spettatore comune potrebbe trovarsi di fronte al dubbio di assistere a un film di fiction piuttosto che a un documentario, poiché paradossalmente anche i cammelli sembrano mettersi in posa per rendere al meglio il proprio ruolo. Proprio in questa intromissione di fiction nel linguaggio documentaristico il lavoro di Falorni e Davaa ripercorre le tracce solcate negli anni venti da Flaherty, attraverso il meccanismo di ri-attuazione della realtà. Per quanto il mito dell’invisibilità della telecamera sia rimasto un’utopia ricercata da generazioni di documentaristi, appare ovvio che durante le riprese di questo film l’obiettivo della telecamera non sia stato certo “innocente”. Le scene vengono orchestrate come in un reality-show in cui ognuno dei protagonisti finge evidentemente di vivere la propria vita come in absentia dell’occhio documentario.

Questo meccanismo di ricostruzione è funzionale a riproporre una rappresentazione più vera del reale, in cui il principio di indeterminazione di Einsenberg può essere macroscopicamente tradotto dalle particelle sub-atomiche alle vicende di individui umani, in cui anche solamente l’osservazione può modificarne i comportamenti. La vicenda dei cammelli è a tratti commuovente, un filo rosso che lega i capitoli in cui è suddiviso il film, e indubbiamente un episodio fortunato per la carriera di due documentaristi (oltretutto la nascita di un cammello albino è simbolica e allude a una chiara metafora sulla diversità). Gli elementi più interessanti sono però quelli legati al rapporto tra cultura nomade e musica, oltre all’innata curiosità dei bambini nei confronti delle nuove tecnologie, la televisione in particolare.

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