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Habemus Papam: Ferreri chiede udienza!

Habemus Papam: Ferreri chiede udienza!

L’udienza ovvero del cinema e della rivoluzione
La concezione ferreriana del “cinema come mondo” è rafforzata da L’udienza. Per il regista, la settima arte si concretizza in una riuscita sostituzione del mondo reale, e del rapporto, concreto e tangibile, con le cose. Ferreri non crede nelle capacità rivoluzionarie del cinema: «l’opera di un signore può essere coerente, ma essere coerente non vuol dire essere rivoluzionario». Dopotutto, quello che si pone davanti al regista è un bivio, lo stesso occorrentemente percorso da ogni artista: e «bisogna decidere […] o fare delle opere, […] cercare di distruggere il metodo attuale del cinema […] oppure smettere per un momento di fare cinema e cercare di fare la rivoluzione».
Gli anni 1969–1973 sono densi di impegni: sei film, e mezzo – la riedizione, finalmente sbrigliata dalla censura, de L’uomo dai cinque la palloni, ribattezzato Break-Up -, ed è normale porsi la domanda di quando, e magari come, in quale modo un regista abbia la possibilità di “smettere per un momento”. Certo, considerando anche il fatto che le rivoluzioni hanno comunque bisogno di tempo. Un’ipotesi assordante: la gestazione di un film, la stesura del soggetto, della sceneggiatura, come vero momento rivoluzionario di un regista, concreto momento di rivolgimento, procrastinato fino all’ibridazione, nel tentativo vano (ma la consapevolezza ferreriana è anche comprensiva dell’impossibile totale adesione e realizzazione del movimento rivoluzionario, dopotutto Camus osservava che «tutte le rivoluzioni moderne hanno avuto per risultato un rafforzamento del potere statale) di trapiantare un’istanza di rivolgimento (lo script) in un mezzo oggettivamente borghese: il cinema, popolare se delle masse, elitario, dunque castale, alto-borghese, se intellettuale o, peggio, intellettualoide».

Un vecchio errore

L’udienza si trova in una posizione scomoda, all’interno del corpus dell’opera di Ferreri: non è facile vivere fra due capolavori, ovvero Dillinger è morto (1969) e La grande abbuffata (1973), ed esistere nei pressi di due film altrettanto importanti quali Il seme dell’uomo (1969) e La cagna (1972). Ci imbattiamo oggi in una certa lascivia interpretativa, derivata sicuramente da tale condizionamento, che ha operato una riduzione progressiva della polisemicità tematica del film, ridotta alla monosemicità del Leitmotiv della vicenda: la Chiesa come centro detentore di potere. In realtà la tematica realmente centrale de L’udienza, e dell’opera ferreriana tout court, è l’esclusione dell’individuo: quelle che sono le problematiche alla luce del sole, non sono altro che i colori con i quali il regista dipinge un quadro complesso: del quale la critica al potere ecclesiastico (ovvero all’istituzione ecclesiastica come sinonimo di Potere) non è altro che il trompe-l’oeil, che perciò trae in inganno il critico e lo spettatore meno avvenuto perché lo irretisce in una solida illusione di realtà. “Dietro il velame” delle vicende strane, per parafrasare Dante, di nuovo l’uomo, solo, vittima (in)consapevole degli errori, e degli orrori, della società alla quale appartiene. Sarà lo stesso Amedeo a confermare questa ipotesi critica quando, nel prefinale del film, constata amaramente di essere rimasto solo, dal momento che nemmeno L’Unità ha riportato notizia del suo tentato incontro con il Papa, con conseguente arresto, in Piazza di Spagna.

Linee di forza

Quello che ci interesserà in questo articolo, è indicare il film nel suo ruolo di catalizzatore di linee di forza centrifughe e centripete, cioè dirette dal complesso filmografico ferreriano verso il nostro film, e viceversa. Per sommi capi, certo, si tratta di fornire appunti per una più completa interpretazione.
Intanto il film si allaccia al dittico autobiografia – cinema, ben analizzato da Maurizio Grande nel suo saggio su Ferreri. I motivi autobiografici presenti ne L’udienza sono forti, più concreti di quelli “truccati” di Dillinger è morto, dove si inveravano in un gioco di trasfigurazioni (mi salta alla mente la proiezione del super8 spagnolo, sulla quale tornerò, davanti alla quale Piccoli mima l’agire di un torero), o di quelli meravigliosi, nell’accezione indicata da Calvino per il Furioso ariostesco, de Il seme dell’uomo, fantasticheria intorno alla vita e alle idee di un grande regista.
Il film fa i conti con uno dei progetti mai realizzati, mettere in pellicola Il castello di Kafka, ed opera un esorcismo nei suoi confronti, attraverso lo stesso protagonista, Amedeo, che più volte, durante la vicenda, e con personaggi diversi, parla della sua situazione come di una vicenda kafkiana. In questo modo Ferreri brucia un progetto raccogliendone le ceneri, utilizzate, addirittura trapiantate, nel nostro film a partire dalle viscere, dalla sua stessa intelaiatura. Anche se con un percorso praticamente rovesciato rispetto a quello dell’autore ceco, in quanto la vicenda di Amedeo, introdotta quasi in medias res, abbandona il proprio orizzonte metafisico iniziale per abbracciare la concretezza: la repressione dell’individuo, culminante nella morte del protagonista. Inutile dire del profondo fossato che divide la morte di Amedeo dalla morte del Gregor Samsa de La metamorfosi. Dunque un riferimento interno al film che dichiara le proprie fonti, forse ironicamente ripreso ne La carne, film minore di un Ferreri già distratto, nel riferimento fatto dal protagonista a Il banchetto di Platone, film effettivamente girato dal nostro autore. Con L’udienza assistiamo ad una sorta di “chiusura del cerchio”, sintetizzata ed espressa dalla stessa struttura circolare del film: l’utopia, l’anarchica speranza libertaria, soccombono, e lasciano spazio ad una realtà negata, ripiegata stessa, che non lascia più spazio all’alternativa. Semplicemente perché questa non si dà: nella vita, come nella sua ricostruzione ideale, ed ideologica (?), ci si deve accontentare di vivere, sperando di poterlo fare almeno fino alla morte. Ed il vagabondare del protagonista, illusione in linea retta di un viaggio senza meta, perché circolare, è, non solum sed etiam, un chiaro riferimento al viaggio di Ferreri, quella linea Italia, Spagna, Parigi, più volte percorsa negli anni.

Qu’est-ce que le cinéma ?

E L’udienza è un film sul cinema, e non in generale, ma sul rapporto particolare tra Ferreri ed il cinema. Come lo erano L’harem e Dillinger è morto. Il cinema è la capacità di creazione di un mondo altro, di un nuovo rapporto di relazione tra il proprio io e gli oggetti. Alla stazione di polizia viene sequestrata ad Amedeo una pellicola: un chissà quale reperto osceno (nell’immaginazione del commissario, e parimenti in quella dello spettatore), che si rivela invece innocuo documento: una pubblica apparizione di Papa Giovanni XXIII. In vita, un Papa rugoso e rettile, con quella immagine insistita della lingua passata tra le labbra, ed in morte, già preannunciata, prima che mostrata, dal colore glaciale della stampa del negativo. Immagini dunque non pornografiche, ma parimenti oscene, per Amedeo e dunque per lo spettatore, perché ancora filtro, ripresa a distanza, dunque mediata, del pontefice. Così come risultavano oscene le immagini di donne nude proiettate ne L’harem non per il loro contenuto oggettivo, quanto per la riduzione ad oggetto del corpo femminile che operavano. In questo senso non accogliamo l’ipotesi di una predilezione di Ferreri per papa Giovanni: il suo ruolo, per il regista, è comunque quello di leader, di uomo di potere, di “public relations men”.

Reperita…

Il film raggiunge la propria identità grazie all’uso della ripetizione, della reiterazione di azioni. Cifra tematica, e stilistica questa, dell’intero cinema di Ferreri. Allo scopo di smemorare, labirintizzare il valore di qualsiasi comportamento ed azione. Spensierandolo, ovvero agendo direttamente sulla massa cerebrale dell’individuo, allo scopo di annullarla. La vicenda di Amedeo è un tema con variazioni, tutte strade tortuose percorse dal protagonista nel tentativo di parlare al pontefice: strade in realtà interrotte, che non portano mai nella giusta direzione, ed il Castello del Papa – Re, indicato come “casa privata”, protetto dall’esercito personale del regnante, resterà inespugnabile. Ferreri ci parla della ripetizione come di un mezzo del potere: l’azione ripetuta si spersonalizza, svapora il suo ruolo originario, dunque consente al Potere la repressione in via facilitata. Lo stesso accadrà ne La grande abbuffata, film che pare essere l’incubo degenerativo de Il fascino discreto della borghesia: sarà la ripetizione affannata di meeting sessuali e culinari ad annullare, nel valore più profondo della parola, i quattro protagonisti. La ripetizione che è anche tentativo di fuga del protagonista, fuga verso l’interno del sistema, del castello del Potere. Fuga naturalmente interrotta: l’ordine non può essere mutato. Potere e morte: Potere è Morte. Le due realtà si danno l’una in rapporto all’altra: fin dalle origini ed in tutta l’opera ferreriana. Ricordiamo El Pisito, attesa della morte altrui per raggiungere il proprio (piccolo) potere; El Cochecito, la morte provocata. Una storia moderna: l’ape regina, dove la morte è il naturale porto per il maschio privato di un qualsiasi ruolo; La donna scimmia, la morte esibita, strumento di potere. Senza procedere ulteriormente in un’elencazione verificabile, balzo in avanti ricordando i casi di Dillinger è morto e de Il seme dell’uomo: a questo punto si colloca la morte di Amedeo, protagonista, dunque ideale candidato a morte, della vicenda de L’udienza. Morte che è intanto autodistruzione, suicidio: Amedeo si porta alla morte, trascurando la sua polmonite si immola davanti alla sua sicura sconfitta. La fine del film, però, con l’arrivo di un altro personaggio che vuole parlare con il pontefice, intanto circolarizza la vicenda, che si fa parabola ineluttabile sull’impossibilità di dialogare con il Potere. Ed in tale modo convince lo spettatore che anche la vicenda del nuovo personaggio terminerà con il martirio, e la morte. Ed allora la morte è anche omicidio, promosso e perpetrato dalle strutture stesse del Potere ecclesiastico.
Il viaggio circolare di Amedeo (anche se poi si dovrebbe discutere delle reali proporzioni circolari del disegno, ovvero sul reale punto di rottura del cerchio, quello della morte del protagonista) è costituito di tappe. Anch’esse, naturalmente, ripetute: si tratta di luoghi, e persone in essi collocati, ognuno dei quali contribuisce alla degradazione del protagonista. Tutto costituisce quello che Ferreri ha definito il “ciclo di ambiguità del Potere”, ovvero il circolo che salda indissolubilmente chi il potere lo esercita a chi lo subisce e lo accetta. Ricordiamo: il commissariato di polizia, e la persona del commissario Aureliano Diaz; la casa di Aiche, la prostituta che dovrebbe “controllare” Amedeo, distraendolo con l’offerta del proprio corpo; il palazzo del principe Donati, improbabile aiuto al desiderio di Amedeo, in realtà dedito a ambigui rituali erotici ed esercitazioni neofasciste; i luoghi della Chiesa Nuova, ovvero il ristorante nel quale Amedeo incontra i dissidenti olandesi; dall’altra parte, i luoghi di “reclusione” e “repressione” della Chiesa Ufficiale, contenuti nel monastero – prigione nel quale Amedeo è mandato; ed infine, naturalmente, il Colonnato di Piazza San Pietro, inizio e fine del tutto, ideale abbraccio di marmo di un clero distante e potente. Ogni uomo incontrato da Amedeo è corroso negli ingranaggi del Potere: Amedeo stesso ne fa parte senza rendersene troppo conto, e nonostante la sua consapevolezza di vivere una situazione kafkiana: questo lo porta a rifiutare l’amore dell’unica persona che veramente lo ama e lo aiuta: Aiche; e contemporaneamente a cadere nella folle illusione di potere approfittare dell’aiuto del Riformismo Clericale. Aiche, contesa fra tre uomini – Amedeo, il principe Donati, il commissario Diaz – , come era contesa tra quattro uomini la protagonista de L’harem, finirà per sposarsi con l’ultimo. Amedeo si allontana dall’unica isola del film, per ricordare una felice espressione di Fofi, e se ne distanzia volontariamente: per fede, come osserva Maurizio Grande, ma, in realtà, soprattutto perché oramai anche il protagonista ha ceduto alla logica del potere, che lo ha irretito, lo ha portato ad usare la prostituta – uso fisico, ricerca del piacere sessuale, uso politico, lei è stata il suo tramite con il principe Donati – come uno strumento. La scelta di Amedeo ricopre di ambiguità la sua figura: al suo ruolo di martire si accosta una presunta volontà del martirio, un egoismo di fondo che diviene necessaria autocommiserazione. In realtà, anche questo, in perfetta comunione con il corpus dell’opera ferreriana, da sempre composta di personaggi ambigui, vittime (in)consapevoli della tara sociale che li circonda. Sarà utile ricordare anche l’ambiguo, e fondamentale, personaggio di Giovanni, vecchio meccanico incontrato nel monastero da Amedeo, straordinariamente somigliante a papa Giovanni XXIII: egli rappresenta, nel suo ruolo, il contraltare dell’ala cattolica riformista incontrata da Amedeo nel ristorante, ovvero la fede vissuta con eccesso. Le opere che mostra ad Amedeo, la Pietà decapitata, la Chiesa distrutta dalla fede, sono testimonianze vive di un eccessivo dogmatismo, pericoloso. Soprattutto, ed ancora, per il centro del Potere. Ipotesi finali Amedeo andrà a morire nel colonnato del Castello papale: centro ideale del labirinto all’interno del quale aveva sperato di trovare il varco, l’uscita, forse anche solo l’ombra di questa. Verrebbe da chiedersi cosa Amedeo abbia avuto da dire al Pontefice: forse lui il nuovo Gesù? il depositario del rinnovamento spirituale della Chiesa? il nuovo Papa? Il finale del film, la vicenda che si rigenera in un nuovo tentativo di parlare al Pontefice, fuga ogni dubbio, perché la trama si fa parabola inquietante sull’assenza di un padre reale. Ovvero sulla vana ricerca di questo: messaggio inquietante, doppiamente perturbante nel caso in cui il “padre” in questione sia il Papa: padre “ideale” senza naturali figli.
Magari Amedeo avrebbe voluto invitare il Pontefice al cinema a vedere L’udienza

Filmografia completa di Marco Ferreri (1928 – 1997)

El Pisito (1958)
Los Chicos (1959)
El Cochecito (1960)
Gli adulteri ovvero L’infedeltà coniugale (episodio del film Le italiane e l’amore) (1961)
Una storia moderna: l’ape regina (1963)
La donna scimmia (1964)
Il professore (episodio del film Controsesso) (1964)
L’uomo dei cinque palloni (episodio del film Oggi, domani e dopodomani) (1965)
Marcia Nuziale (1966)
L’harem (1967)
Dillinger è morto (1969)
Break-up (versione completa de L’uomo dei cinque palloni) (1969)
Il seme dell’uomo (1969)
Perché pagare le tasse ed essere felici (1970)
L’udienza (1971)
La cagna (1972)
La grande abbuffata (1973)
Non toccare la donna bianca (1974)
L’ultima donna (1976)
Chiedo asilo (1979)
Storie di ordinaria follia (1981)
Storia di Piera (1983)
Il futuro è donna (1984)
I love you (1986)
Come sono buoni i bianchi! (1988)
Il banchetto di Platone (1989)
La carne (1991)
La casa del sorriso (1991)
Diario di un vizio (1993)
Nitrato d’argento (1996)

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