Intervista a Olivier Assayas
In occasione dell’uscita di Clean, dramma con Maggie Cheung, Nick Nolte, abbiamo incontrato Olivier Assays, cinquantenne regista parigino autore tra l’altro di L’eau froide (id., 1994) e Les destinées sentimentales (id., 2000).
Qual è la differenza tra Clean e le sue ultime opere?
Una forma di narrazione più moderna. Inoltre, sono stato ispirato da un personaggio, dalla sua storia. Non è un film corale. Si tratta di un film semplice formato da tanti pezzi complessi, un film che passa attraverso continenti e personaggi assai diversi.
Le musiche sono importanti nei suoi film. Anche in questo, e in maniera tutta particolare, o sbaglio?
Le musiche sono importanti in modo sempre diverso. Sono cresciuto negli anni settanta, quando la musica formava un tutt’uno con le altre forme di comunicazione culturale. Io, però, pensavo che la musica potesse esprimere contenuti che il cinema non era in grado di comunicare. In Clean esistono due piani. Un primo livello, quello della musica narrativa. Un secondo livello, quello del rock indipendente e del suo mondo, in cui è ambientato il film. La seconda scelta è stata motivata dal desiderio della protagonista Maggie Cheung (Emily nel film) di cantare. Lei, che è anche mia moglie nella vita reale, non è una cantante, ma ama la musica.
Ecco, ci parli un po’ di Maggie…
Maggie è stata fondamentale: ha ispirato storia e personaggi. Inoltre, secondo me, non è stata sfruttata in tutte le sue potenzialità. Poteva dare di più. Tenga presente che le attrici cinesi vanno a riposo a venticinque anni. In Cina poteva fare personaggi astratti. Eppure lei non voleva fare la parte della cinese in un film americano, oppure la parte di una che sparava, come le era stato proposto. Così, Maggie è stata obbligata a riscoprire se stessa attraverso il personaggio del mio film. Io ho avuto il privilegio di fare da spettatore di tale processo. Inoltre, ho imparato da lei tante cose, come giocare a biliardo…
Questo film descrive indubbiamente un processo di formazione. Di solito i personaggi che lo vivono sono persone comuni. Emily, però, è un’artista…
In realtà non è proprio così. La realizzazione artistica di Emily è metafora di una realizzazione personale. Il fatto che Emily canti non significa che sia un’artista. Il canto è espressione dell’anima. Il cammino di Emily verso la propria voce è il cammino verso la propria anima. Non è importante se Emily sia un’artista oppure no.
Prima diceva che il messaggio più importante del film passa attraverso di lei…
Certamente. A me interessa capire cosa accade quando uno finisce di utilizzare la droga. Il finale è eloquente. Io non so se Emily avrà successo come cantante. Però ha finalmente fatto qualcosa da sola. Tutto può iniziare ancora una volta.
Al prezzo di grandi sofferenze.
Ogni persona soffre, sebbene in maniera diversa. E, ai fini del dramma, occorre descrivere i personaggi nei momenti di crisi. È importante cogliere il lato oscuro degli individui. Anche per una forma di compassione. Personalmente, mi identifico di più con i cosiddetti “disadattati”. Sono assai critico nei confronti della società disumanizzante della nostra epoca.
La donna ricopre una funzione particolare in questo scenario?
Ritengo che la crescita del mondo vada di pari passo con la crescita del ruolo della donna.
Torniamo a Emily. Secondo un personaggio del suo film, le persone rimangono sempre le stesse, secondo il nonno della storia, Albrecht, è vero il contrario. Emily sarà capace di cambiare la sua vita oppure no?
Secondo me si può cambiare. Emily è vissuta nel mondo dei sogni, ma anche nel mondo reale. Il rock è stato il suo modo per fuggire la propria identità. La domanda fondamentale è: chi sono io? La sua identità è frammentata. Non solo. Si tratta di un personaggio degli anni settanta, un personaggio, quindi, che viene dal passato. Per lei è difficile farsi accettare nel mondo attuale.
In effetti anche la droga usata dalla ragazza e dai suoi compagni, l’eroina, oggi non è più di moda.
Infatti. Lei, per molti versi, rappresenta un mondo ormai passato. Del resto, il tema della droga non occupa grande spazio nel film. E poi viene presentato in modo “leggero”. A me interessa pormi la questione della dipendenza e della possibilità di superarla. Il tema della formazione ma anche della redenzione.
E del perdono.
Certamente. Emily non si è occupata per lungo tempo del figlio. L’ha lasciato alla cura dei suoceri. Il marito le vuole dare ancora una possibilità, la moglie ha più difficoltà.
Cosa mi dice di Nick Nolte come uomo?
Non lo avevo mai conosciuto di persona. L’incontro mi ha fatto una grande impressione. Innanzitutto è gentilissimo. Ha accettato subito di fare un film con un produttore europeo indipendente. Tenga presente che lui non è abituato a compiere certe cose: fare in un giorno una scena di quattro pagine non è facile per uno che è abituato a farla in una settimana. Per non parlare poi dell’ingaggio, assai modesto. Infine, il personaggio è al settanta per cento frutto di Nolte.
Parliamo un attimo del bambino, Jay nel film.
All’inizio non mi era piaciuto nessuno. Per coerenza con la storia, dovevo prendere un bambino nordamericano. Non doveva avere né l’accento inglese, né quello francese. Inoltre non doveva essere un professionista, tanto meno del livello mostruoso a cui possono arrivare i ragazzini canadesi o statunitensi.
Perché?
I bambini attori professionisti sono troppo convenzionali. A me interessa mantenere la carica naturale del bambino.
Come è andata a finire?
Ho avuto alcuni problemi. Si è trattato di una questione difficile anche da un punto di vista sindacale. Mi sono procurato filmati di bambini, ma si trattava sempre di situazioni poco spontanee. C’era sempre qualche preside o qualche insegnante di mezzo. Alla fine ho scelto James Dennis, innanzitutto per lo sguardo, che comunicava grande sensibilità. Si è deciso di scritturarlo due o tre giorni prima delle riprese. [img4]Io, poi, avevo paura, perché non avevo mai girato con dei bambini.
Un ultimo argomento: i personaggi secondari…
Tutti quanti riflettono questo o quell’aspetto del personaggio centrale. Tutti loro sono un’emanazione di Emily. Tutti contribuiscono ad aiutarla a capire chi stia diventando. Irene ed Elena, inoltre, permettono ad Emily di ritrovare il suo mondo prima dell’incontro con il marito. Contemporaneamente, si tratta di due donne diventate diverse, avendo compiuto nel frattempo un lungo cammino. Prima erano allo stesso punto, ora non più.
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