hideout

cultura dell'immagine e della parola

Il cuore nero degli Usa

Il cuore nero degli Usa

Vita/Opera
Si sa che l’elemento biografico non dovrebbe condizionare il giudizio su un’opera creativa. Ovviamente ci sono le eccezioni. Ed è forse il caso di Trilobiti di Breece D’J Pancake. Tra pile di novità spicca l’originale veste grafica che identifica con forza una nuova casa editrice, ISBN: una copertina bianca su cui spicca il codice a barre e, appunto, il codice isbn.

Ma torniamo a Pancake.
Quando in dodici racconti e in neanche duecento pagine si ha in mano l’opera omnia di uno scrittore, anzi un grande scrittore come recita il sottotitolo in copertina, non si può che essere emozionati nel cominciare a leggere il volume. Quando poi si scopre che lo scrittore in questione si è sparato alla veneranda età di ventisei anni e che questi racconti sono tutto quello che ha potuto, voluto scrivere nella sua intera esistenza difficile rimanere impassibili.

Difficile insomma che già la lettura, prima del giudizio, non ne sia irrimediabilmente condizionata.

Grande scrittore? Ormai si legge quasi di chiunque. Ma qui c’è una Joyce Carol Oates che lo paragona a Hemingway, un Vonnegut che lo annovera tra i più grandi scrittori che abbia letto, un Tom Waits che lo definisce il suo scrittore preferito e un J.T.Leroy che lo legge tutti i giorni. Come la Bibbia. Ci si deve fidare?

Dark star crashes
All’opposto di ogni possibile nomen omen il mondo evocato, costruito e descritto dal giovane scrittore non ha niente della morbida dolcezza delle frittelle innafiate dallo sciroppo d’acero che il suo cognome richiama. Al contrario i Trilobliti (title track del libro, nonché un tipo di minerale piuttosto raro) sono molto più vicini alla sua letteratura e visione poetica.

La scrittura di Pancake porta alla luce un mondo oscuro, crudele e tragico. Il midwest rurale qui perde ogni tratto idillliaco. Il rapporto con il mondo animale, ad esempio, non risveglia forze istintive, ma pur sempre positive, e non si fa neanche simbolo o metafora (come in tanta cultura Usa). Semplicemente è un elemento da eliminare con freddezza e cinismo o su cui esercitare una volontà di dominio che non si riesce a imporre su altro.

Fuorviante e fuori luogo appare quindi il paragone con Hemingway. L’ambientazione è spesso simile, così come certi temi (la caccia o lo scontro fisico). Ma il retrogusto non ha niente del romantico ed eroico ottimismo del buon vecchio papa dei giorni migliori: il mondo evocato dai racconti di Pancake è un luogo senza Legge, quasi arcaico, in cui i giorni della speranza e di un futuro migliore sembrano finiti per sempre. E come non c’è che il suicidio per la quindicenne costretta a prostituirsi di Una stanza tutta per sé, Pancake concede raramente ai suoi personaggi destini aperti alla felicità.

Anche l’ambiente rurale, quella Natura selvaggia americana che tante volte è diventata un potente simbolo dell’autentico che si erge contro l’inautentico omologato e standardizzato della modernità, qui è, come nel lirico Che ne sarà del legno secco? e ancor più nella tragica quotidianità di Il marchio, un luogo di arcaica chiusura mentale e di morte dell’anima. Se non una vera e propria tomba come pensa il protagonista dell’ultimo racconto, Il primo giorno d’inverno, costretto a rimanerci per curare i genitori ormai non più autosufficienti e maledicendo il fratello che l’ha così incastrato.

The dream is over
Non è un caso forse che tutti i racconti prendano vita negli anni che chiudono un’epoca intera, quella in cui si credeva possibile cambiare il mondo e cambiarlo in meglio. Un sogno che non si è mai realizzato.
Ma è soprattutto lo stile, la scrittura del giovane scrittore a fare la differenza. Anche in questo caso siamo distanti anni luce dalla limpidezza cristallina dei 49 Racconti: la lingua di Pancake tende a evocare più che descrivere e, come la realtà, o meglio la visione della realtà, che si vuole raccontare anche qui siamo dalle parti dell’oscuro, dell’ermetico, del crudo. Al chiaro e al prosaico, Pancake sostituisce l’allusivo e il poetico.

La scrittura colpisce per la potente originalità e permette al giovane scrittore di poter affrontare situazioni tipiche ed esemplari non solo della letteratura americana (come il Vietnam, la fuga di due giovani diventati improvvisamente criminali o il racconto di formazione adolescenziale, rispettivamente in Onore ai morti, Come dev’essere e La mia salvezza). Si intuisce, dietro le righe, un grido autentico e disperato.

Forse anche qui è potente l’eco dei tempi. Più che alla grande tradizione romanzesca, questa scrittura torbida, a tratti enigmatica e metaforica, sembra più affine ai testi dei grandi cantautori rock Usa del periodo, tra echi beat e visionarietà apocalittica. Bob Dylan, certamente. Ma anche Phil Ochs, il cantante preferito di Pancake, che si impicca a trentasei anni nel 1976 o di Tim Buckley anche lui suicida a ventisette anni nel 1975. Personalità di cui segue lo stesso destino. A questo proposito basti la chiusura di quello che è forse il più sentito nonché più potente dei dodici racconti, quello che apre e dà il titolo alla raccolta, Trilobiti: «Mi alzo. Passerò la notte a casa. Devo chiudere gli occhi nel Michigan, forse anche in Germania o in Cina, non lo so ancora. Cammino, ma non ho paura. Sento che la mia paura si allontana in cerchi concentrici attraverso il tempo, per un milione di anni.»

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»