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La leggenda dell’uomo oca

La leggenda dell’uomo oca

La leggenda dell’uomo oca
Già dal titolo questo volume autoconclusivo si rivela in tutta la sua oniricità, confermata dal commento stesso dell’autore che apre come prefazione le due storie contenute al suo interno. L’incipit testuale, a differenza di quanto si possa pensare, non risulta noioso, anzi si dimostra interessante per capire gli spunti da cui origina il tutto. Alessandro Baggi ci parla della sua visione dell’inquietante uomo oca, punto cardine del racconto, e delle ricerche cha ha svolto su più fronti per capire meglio i risvolti psicologici della cosa e documentarsi per trasformarla in fumetto. Come lui stesso ci dice, la prima storia breve (dodici pagine), è pressappoco una trascrizione fumettistica fedele della visione stessa, e senza una trama precisa racconta la strana esistenza di questa mitica creatura metaumana. La seconda storia è ben più lunga (71 pagine) e tratta la visione in maniera più classica, razionalizzandola. Qui il protagonista diviene Henry D. Britt, ricercatore e collaboratore del “New Scientist Journal”, che per motivi personali cerca l’uomo oca e tenta di comprenderne la logica implicita. Non vi è niente di caritatevole però in questo; la vendetta spinge infatti l’uomo all’azione, nonostante uomo d’azione non sia.

Libertà e sperimentazione grafica
Straniante e visionario appare anche lo stile grafico, che nonostante lasci un po’ spaesati all’inizio, risulta intrigante e comunque sempre molto chiaro. Il tratto di Baggi è corposo e descrittivo. Chi è abituato al Baggi disegnatore di Dampyr qui lo può vedere in una veste diversa, potendo esprimere se stesso nella massima libertà. Lontano da convenzioni canoniche ed editoriali, sperimenta anche nella tecnica con risultati interessanti. Ci si ritrova di fronte ad un bianco e nero molto ricco, ottenuto con inserti di retini, con il collage, ed effetti dati con la tempera bianca e il pennello secco. Alcune retinature sono utilizzate però in modo molto ravvicinato, cosa che in certi casi può stonare a livello visivo, creando un contrasto troppo netto tra le stesse e il resto; ma nel complesso si inseriscono comunque coerentemente lungo tutto il volume. L’orrore è reso nei suoi disegni senza velature o mascheramenti, nella sua materialità carnale, tanto concreto quanto nauseabondo. La composizione della pagina è molto varia e originale, anche se a volte riprende lo schema classico su tre strisce usato per esempio in Bonelli.

Inchiesta giornalistica ai limiti della follia
La fitta documentazione descritta nell’introduzione è riscontrabile graficamente nella minuziosa rappresentazione dei luoghi esotici e più direttamente nei numerosi estratti da giornali (la maggior parte veri, alcuni inventati) che sono disseminati per la seconda storia, rendendo l’idea di una specie di documentario, tra il reale e l’assurdo. Questo tono più giornalistico, sembra quasi voler inserire le follie umane descritte in parametri più ragionevoli che non fanno altro che sottolineare quanto tutto ciò sia grottesco… e inquietantemente verosimile.

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