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cultura dell'immagine e della parola

Intervista a Beppe Calzolari

Abbiamo incontrato Beppe Calzolari, direttore della Scuola del Fumetto di Milano. Con lui abbiamo cercato di delineare un quadro completo del mercato, tracciando le linee guida per la valorizzazione culturale di questo grande (e sottovalutato) mezzo di comunicazione artistica.

Qual è la situazione del fumetto in Italia oggi? Deve ancora scontrarsi con i soliti pregiudizi?

Ti rispondo con un esempio molto recente. Fiera dei ragazzi di Bologna: presentiamo i nostri libri, realizzati anche con l’aiuto di giovani scolari delle elementari: la reazione degli insegnanti è di snobbare i prodotti in quanto fumetti, senza nemmeno visionarli o prendere in esame il lavoro di progettazione che c’è alle spalle. Esiste un grosso problema di accettazione del fumetto nel nostro paese. In Francia disegnare e scrivere per il fumetto significa fare letteratura. Pratt in Francia è stato definito letteratura disegnata, alla Sorbonne di Parigi la prima tesi sul fumetto risale al ’59. In Italia molti non hanno ancora capito che mezzo di comunicazione è il fumetto.


Questo vale anche per gli addetti ai lavori?

Purtroppo si. Alle fiere ormai prevale l’interesse economico sul quello culturale, non si curano più i contenuti, a patto di riuscire a coprire le spese e incassare gli utili. La Fiera di Milano, quando è nata, voleva essere, come è oggi Comicon a Napoli, un’alternativa altamente culturale al prodotto fumetto che risulta reperibile quotidianamente in qualsiasi edicola. Tutto questo, col tempo, è stato semplicemente disatteso, si è perso nel vortice della logica degli incassi. Tanto è vero che ormai le diverse edizioni di Cartoomics sono tutte uguali tra loro, strutturate secondo un modello che evidentemente raggiunge gli obiettivi economici degli organizzatori. Qualche spiraglio di miglioramento lo si intravede nella fiera di Lucca, dove finalmente hanno capito quanto sia conveniente per gli espositori, gli editori e i creatori di sperimentazioni fumettistiche dividere la parte dei giochi, dei gadget e della paccottiglia varia dalla parte puramente artistica e imprenditoriale delle produzioni a vignette. La colpa, ovviamente, sta anche dalla parte degli editori, che ultimamente sembrano essersi adagiati su format ormai standard, privi di un massiccio fondamento progettuale di sperimentazione alle spalle. Ma questa situazione poi, in realtà, finisce per riflettersi negativamente anche sul mercato, perché chi va alle fiere e ai congressi alla ricerca da un lato di novità e dall’altro di pezzi da collezione e invece finisce per trovare portachiavi, magliette e di fumetti solo numeri che potrebbe tranquillamente ordinare nell’edicola sotto casa, beh capisci che la volta dopo decide di non spendere più otto euro per l’ingresso di un evento incapace di soddisfare le sue legittime aspettative. La fiera era fatta di incontri, verifiche, curiosità. Ora invece…

Gli editori. Quanto grava su di loro l’attuale situazione del mercato?

Le più importanti realtà editoriali hanno grande responsabilità rispetto alla situazione stagnante del nostro mercato. Sta aumentando nel nostro Paese il numero di disegnatori e sceneggiatori, ma questo non si traduce poi in un’attività o in un fermento produttivo, perché i giovani sono esclusi dai circuiti di un certo calibro, sono costretti ad auto-prodursi, ad affidarsi a piccole case editrici di nicchia che nascono e muoiono nell’arco di un anno. Questo perché da un lato le grosse produzioni hanno poco interesse o paura ad aprirsi alla sperimentazione, [img4]dall’altro il mercato in Italia ha radici poco solide e, per ultimo ma non per importanza, gli artisti nostrani sono incapaci di far valere i loro diritti. Non esistono i presupposti perché qualcuno riesca a dare il là a un incontro, non dico per coordinare, ma quantomeno per dare un quadro d’insieme a ognuno degli attori che partecipano al meccanismo dell’industria del fumetto in Italia, tanto per capire i diversi motivi della nostra crisi. Anche se c’è da dire che è altrettanto importante evitare allarmismi eccessivi, poiché si sa che le crisi in questo ambito sono generazionali. Io mi ricordo la crisi della metà degli anni sessanta, quando in edicola si trovavano solo fumetti noir e fiabe erotiche, fin quando nel ’67 non arrivò Linus con il conseguente sviluppo del fumetto d’autore.

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