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Intervista a Vittorio Moroni

E’ in questi giorni nelle sale Tu devi essere il lupo, interessante esordio nel lungometraggio di fiction per Vittorio Moroni, già autore del documentario Sulle tracce del gatto. Per l’esattezza la pellicola è uscita in cinque sale, a Roma, Torino, Padova, Sondrio e Morbegno. In attesa di poterlo vedere anche a Milano (sarà da venerdì al cinema Palestrina), abbiamo incontrato il regista, parlando con lui del film e delle difficoltà della distribuzione in Italia.

Tu devi essere il lupo è la dimostrazione che distribuire un film oggi in Italia non è impossibile. Come è riuscito a trovare i fondi e come è nata la Myself Distribuzione?

È nata per disperazione e per affetto. Io, Valentina Carnelutti (una delle protagoniste del film), Alessandro Lombardo (co-sceneggiatore) e Marco Piccarreda (assistente alla regia e al montaggio) e via via molti attori e tecnici abbiamo pensato che non fosse accettabile avere investito tanta dedizione in un progetto, per poi vederlo ammuffire in un cassetto. Le distribuzioni ci dicevano due cose continuamente: «Senza un contributo pubblico alla distribuzione non ce la sentiamo di rischiare» e «Un piccolo film italiano non può trovare un pubblico in questo momento di crisi». Abbiamo cercato di smentirli trovando finanziatori che investissero soldi e lavoro in cambio di percentuali sugli incassi e trovando un pubblico preventivamente disposto a vedere il film.

Myself distribuzione è un progetto che si è concluso con questo film oppure vorreste farlo continuare con altre produzioni?

Ci piacerebbe poter creare qualche altra piccola breccia in un sistema stanco e paralizzato.

Quali sono invece i problemi legati alla distribuzione tradizionale? Perché è così difficile mandare nelle sale un’opera prima?

Purtroppo non è solo un problema di opere prime. C’è una crisi di mercato che è oggettiva, c’è un sistema di prepotenza dei film stranieri e di cassetta, nessuna politica di sostegno alla diffusione di film più “difficili”, un sistema televisivo che di fatto non dà alcuna visibilità ai film europei di qualità e una diffidenza ormai preconcetta e diffusa che impedisce a distributori ed esercenti di correre qualunque tipo di rischio.

Tu devi essere il lupo è stato definito “Un road movie delle emozioni”. E’ d’accordo con questa definizione? In una frase, come descriverebbe la sua opera?

E’ una bellissima ed affettuosa definizione. Non ho niente di meglio per descriverlo in una frase.

Dove ha scoperto Valentina Merizzi, la giovane interprete del film che ha fatto incetta di premi nei festival europei?

Nelle scuole di Sondrio dopo aver incontrato 789 coetanee. Era l’unica che non ne voleva sapere di fare un film.

A proposito di Festival, il suo film prima di essere distribuito nelle sale ha partecipato a numerosi concorsi. Quanto è stato importante, anche in vista dell’accordo raggiunto con la Pablo di Gianluca Arcopinto?

Pochissimo. Siamo ormai in un far-west così terrorizzato dalla crisi che premi, festival, recensioni, giudizi umanistici e culturali non valgono assolutamente nulla.

Dopo il successo al Sacher, il suo primo film è stato il documentario Sulle tracce del gatto. Ora è la volta di Tu devi essere il lupo. E’ una casualità la presenza di due animali nei titoli dei suoi film?

Trovo che gli animali si prestino bene a presentificare delle metafore, anche se l’animale di Sulle tracce del gatto è un nome che in Brasile viene dato ai caporali, anello di congiunzione tra gli schiavi e i fazendeiros. Ho altri due progetti con nomi di animali: Il sentiero del gatto e Il villaggio della farfalla.

Che differenze trova nel realizzare opere documentaristiche e di fiction, tra l’altro su temi così diversi dato che il suo primo film raccontava il rapporto tra multinazionali e fazendas in Brasile mentre il secondo è una storia famigliare tra l’Italia e il Portogallo?

Non saprei bene definire il confine tra finzione e documentario. In entrambi i casi si tratta di una continua lotta tra le intenzioni e la realtà, [img4]tra il cercare di capire e la complessità del reale. Nel documentario però è eccitante poter conoscere qualcosa nel momento stesso in cui si filma.

Nel futuro invece cosa l’aspetta, un nuovo documentario o un film di fiction?

Sto lavorando a un documentario con la Paneikon: è la storia di Liku, un ragazzo bengalese che abita a Roma e che sembra molto occidentalizzato, ma che a 27 anni decide di sposare per procura una donna del suo Paese che non conosce e che non lo conosce. E’ un film che sto girando ormai da un anno e che non so bene quando finirà.

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