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cultura dell'immagine e della parola

Il tatuaggio del ricordo

Il tatuaggio del ricordo

La vita è un ricordo. Le immagini sfocate arredano qualche angolo della mente. Il tempo che passa è come una bussola: indica la strada. Ma a volte il tempo è come una folata di vento: spazza via tutto, disorienta. E le strade non si incrociano. Si evitano. Si sfiorano. E le anime fluttuano come quel sacchetto, o come quelle foglie, a causa di un vento che è ordine e caos.
Tartarughe sul dorso è l’audace tentativo di un esordiente regista italiano. Stefano Pasetto, al suo primo lungometraggio, si dimostra capace di raccontare una storia utilizzando alcune buone trovate espressive e stilistiche. Nel suo film di anime e di ricordi, di scelte e fatalità, cogliamo le potenzialità di un autore, sinora impegnato in documentari e cortometraggi, alla ricerca della migliore immagine e della migliora inquadratura, ricche di espressività e concettualità. Da questo presupposto nasce il film di Pasetto: raccontare la vita di due anime, due vite, che sono una serie di immagini, di racconti del passato. Due anime leggere che sono spinte dal vento nella polvere della vita.
Il tempo narrativo si trasforma lentamente in un tempo stilistico del racconto. Tutto è disordinato, sconvolto. Come la loro vita. Che diventa un gioco di incastri, dove hai necessariamente bisogno della vita degli altri per sopravvivere. È un gioco di immagini e lettere, come un rebus. Destino complicato e indecifrabile. La vita che Pasetto vuole raccontare è questa: focalizzata sull’importanza dell’altro. Come un’impronta che rimane indelebile. Questa rimane su una schiena. Nella testa e nel cuore.

In questo film, è evidente, non mancano le idee e nemmeno l’impegno e la ricercatezza di uno stile originale. La vicenda è ambientata in una Tri(e)ste desolata e malinconica. Come se fosse un personaggio, Trieste assiste alle vicende, a volte anche come carnefice dei destini dei personaggi. A volte come rifugio e sostegno. Fotografata da Paolo Bravi, creatore di atmosfere fredde e desolate, Trieste si rivela il palcoscenico chiuso per le due vite. Un unico elemento condizionante. Che fa quasi soffocare. Una cella (la città) con delle sbarre (le persone).
Non manca neppure la brava e bella attrice. Barbora Bobulova è ancora una volta impegnata in una parte difficile, drammatica. La sua interpretazione a volte è caustica. La sua mimica è quasi assente. Come accadeva nel film La spettatrice (Paolo Franchi, 2003). Ha l’espressione glaciale e distaccata, ma sofferente, come in Cuore sacro (Ferzan Ozpetek, 2004). E’ brava. Ma forse è giunto il momento di interpretare nuovi personaggi. Il rischio del già visto è sempre alla porta. Anche lui, Fabrizio Rongione (Nema Problema – Giancarlo Bocchi, 2004), è bravo. Perfetto per interpretare il suo personaggio dall’oscuro passato, scavato in viso dalle sofferenze. L’attore tuttavia rappresenta in sintesi l’intero film. Che oscilla tra momenti intensi e vivi, e momenti ricamati, forzatamente tragici e talvolta noiosi.

Perché Tartarughe sul dorso è indubbiamente un tentativo positivo di cinema, ma è anche altro. Lascia qualche perplessità in diversi punti. La recitazione di Rongione, e quindi il suo personaggio sono eccessivi. Pasetto nell’enfasi del racconto, nell’intrecciare le vicende, nelle scelte stilistiche, perde a volte l’orientamento, come i suoi personaggi. L’impressione è che non riesca a controllare tutto quello di cui vuole parlare. A volte è troppo didascalico e tecnico, come nella spiegazione del titolo del film (una metafora è una metafora, non va spiegata!), o come nell’incastro degli eventi. A differenza di certe cattive abitudini italiane, non si parla molto in questo film, e questo è un bene. Purtroppo però la qualità dei dialoghi non è efficace come vorrebbe essere.
Pasetto dimostra di avere talento, e forse questo, per il momento, può bastare. Tuttavia non dovrà nascondersi dietro l’idioma (idiota) di “film meno brutto di tanti altri”, che spesso accompagna alcuni film italiani. Il panorama poco stimolante in cui lavora, non deve diventare una giustificazione. Anche perché in questo film le idee buone ci sono, ma non bisogna sprecarle.

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