Tutto ha un prezzo
Pretty woman al maschile. La tariffa di Nick Mercer per una tre giorni di trasferta da New York a Londra per accompagnare la propria piacente compratrice è di 6000 dollari. Guardare ma non toccare: gli extra, per conoscersi più intimamente, costano 1700 dollari l’uno. Sarà l’inflazione o sarà la penuria di “professionisti” di livello, fatto sta che il maschio costa proprio tanto e sulla particolarità della prestazione il film sembra puntare quasi tutto. Se l’uomo perfetto non esiste, vuole farci credere la regista attraverso gli occhi famelici della protagonista, per una somma ragguardevole se ne può acquistare uno che di difetti sembra averne veramente pochi: bello, elegante, esplosivo a letto e premuroso nelle attenzioni, senza contare la professione avviata. I rischi del mestiere per un prostituto non devono essere pochi, ma in questo caso lo scambio professionale è reciprocamente gratificante.
Per quanto lunatica e pasticciona, Debra Messing nel ruolo di Kat, resta una bella presenza, tutta da osservare. Sulla fisicità degli interpreti sono concentrate gran parte delle virtù dell’intero film, che, tra gag tutto sommato già viste e assai ricorrenti e tresche prematrimoniali, non mostra e non racconta nulla di nuovo. Forse i personaggi sono delineati in modo estremamente profondo e verosimile, forse i rapporti umani si risolvono secondo schemi semplici e più o meno ricorrenti, fatto sta che non è difficile per lo spettatore indovinare la esatta successione dei dialoghi e degli avvenimenti lungo tutta la proiezione.
Gli unici insegnamenti che possiamo trarre ricordano che i tradimenti si confessano subito o ce se li porta nella tomba, che se uno si chiama “Siluro” Joe un motivo deve pur esserci e che bisognerebbe tutti litigare molto più spesso per poter più spesso ricorrere al gioioso “sesso riparatore”.
Qualche segnale viene lanciato anche ai fedifraghi: andare a letto con la sorella della propria fidanzata non è il massimo, ma viene perdonato, anche se la fama e l’indole libertina sono difficili da riconvertire.
Operazione molto più facile invece per chi al sesso si applica per lavoro. Non sappiamo se con sollievo o con rassegnazione, anche il più ambito degli accompagnatori, prima o poi, resta imbrigliato nella rete. Come altri predecessori cinematografici si innamora (poteva andare diversamente?) della cliente, dimentica tutte le sue avventure per progettare una nuova famiglia, cambia lavoro. Un vero peccato considerato le parcelle esentasse cui era abituato. Saprà reinventarsi casalingo senza perdere il fascino del lupo di mare? C’è da sperare che la regista non ce lo voglia raccontare con un sequel.
A cura di Lorenzo Lipparini
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