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cultura dell'immagine e della parola

L’(in)evitabile volontà del destino

L’(in)evitabile volontà del destino

Storie e linguaggi della rappresentazione di Emiliano Catelotti ********

Gioco di donna è il racconto di una storia d’amore forte come la necessità di cambiare il corso degli eventi. Almeno secondo Guy e Mia, che non riescono proprio, nel momento più delicato e spensierato della propria giovinezza, a sfuggire alla guerra imminente.
Sull’altro piatto della bilancia giace impassibile Gilda, splendida nell’apparire quanto testarda nell’essere, convinta com’è che la vita sia solo un grande teatrino, dove le persone vengono mosse da impercettibili fili, manovrati spesso con ironia, dalle affusolate dita del destino.
«Si tratta di un dramma romantico, una storia d’amore fra tre persone che si sviluppa nel corso di dieci anni, e probabilmente trova ispirazione nei film di David Lean tipo Il Dottor Zivago (Doctor Zhivago, 1965) o La figlia di Ryan (Ryan’s Daughter, 1960), storie commoventi che si svolgono in lunghi archi di tempo». Così John Duigan, scrittore e regista, descrive il suo ultimo lavoro.

Parigi è l’ambiente ideale per ospitare i tre protagonisti. In una città che negli anni trenta del secolo scorso veniva considerata la capitale mondiale dell’innovazione, furono molti gli artisti che vi trovarono rifugio. Così Gilda (una fotografa) si adatta e lì si costruisce il suo piccolo mondo, apparentemente al riparo dai grigi fumi della guerra.
Il regista si concentra nell’espressione di un forte linguaggio visivo. Ottima è la rappresentazione, ad esempio, della metropoli francese. Inizialmente carica di colori caldi ed equilibrati, passerà più avanti, durante la guerra, all’assenza di toni vivaci (cosa che renderà ovviamente il paesaggio molto più freddo e inquietante), spezzata solo dagli splendidi abiti di Gilda, quasi a significare la cecità del personaggio nei confronti del mondo circostante.

«Gilda non fa nemmeno caso a tutto quello che le succede attorno, il che è molto triste. Attraversa la vita correndo perché crede di avere ancora poco tempo da vivere» il commento dell’interprete Charlize Theron.
A sei anni di distanza dall’ultimo incontro con Gilda (che nel frattempo ha una relazione con un generale tedesco), Guy è impegnato a combattere al fianco della Resistenza francese, e dopo lo shock per la morte violenta di Mia è costretto a subire anche l’iniziale respinta dell’indimenticabile compagna parigina. La “cecità” di Gilda troverà finalmente sollievo nel finale. Rischiando la propria vita, Gilda farà di tutto per salvare quella di Guy, messo in pericolo da un’imminente imboscata tedesca. Decisa ormai a forzare la volontà del destino, anziché rimanerne succube, tenterà con ogni mezzo di piegare quelle dita affusolate, che l’hanno portata a condurre una vita frivola e dedicata esclusivamente al proprio benessere.

Ideologici menages à trois di Fabrizio Amadori ******

Il film di John Duigan Gioco di donna, tutto incentrato su un menage à trois, è un’opera difficile da valutare. L’impressione è che tocchi molti temi senza indugiare su nessuno, col risultato di lasciarli incompiuti.
La conclusione è che il contenuto profondo rimane in superficie: l’idealismo da una parte e lo scetticismo dall’altra; il primo è rappresentato da Guy (Stuart Townsend) e da Mia (Penelope Cruz), che sono gli amanti uomo e donna della protagonista (Gilda/Charlize Theron), e porta entrambi a combattere in Spagna e a cercare di bloccare i soldati e gli alleati di Franco. L’epoca in cui è ambientato il film, gli anni trenta e quaranta del secolo scorso, vide un conflitto aspro tra idee contrapposte, eccessive e pericolose.
Il secondo aspetto del film, lo scetticismo moderato, è rappresentato da una donna in qualche modo estranea all’epoca in cui vive: disincantata senza risultare cinica, non se la sente di inseguire gli ideali in giro per il mondo, e rimane sola e abbandonata dagli amici.

Vedendo il film, la figura bellissima di Gilda e il suo desiderio di non lasciarsi coinvolgere nella frenesia collettiva della guerra suscita il sospetto di una fragilità e debolezza di fondo almeno nelle questioni importanti, come amore, lavoro e sopravvivenza, quelle questioni descritte con cura nel film e destinate a suggerire, al di là delle apparenze, l’idea (soprattutto letteraria) di Gilda come “inetta” (Giuseppe Antonio Borgese, Italo Svevo, Thomas Mann).
A dimostrazione di tale ipotesi innanzitutto l’incapacità della donna di capire di non potersi sottrarre alla guerra e, quindi, alla sua epoca. La propria “inettitudine” aveva già dato segnali in alcuni modi: nel non riuscire a trovare il lavoro, il compagno, la sistemazione “giusti”.
A differenza sua, gli amici prima riescono a inserirsi in una società in pace e poi sono pronti ad agire in una società in guerra.

La scelta di presentare Mia zoppa eppure accettata da tutti, al punto da fare la modella, al punto cioè da rappresentare la Bellezza, è dovuta ad una strategia precisa. A ridosso dell’ultima grande guerra europea la società democratica presenta una doppia faccia: sta vivendo una lenta decadenza rappresentata dalla bellezza col tarlo della malattia di Mia, e sta cercando di raccogliere le forze contro la minaccia ben più grave dell’ideologia (nazista e comunista).
La figura di Mia rappresenta un male minore, e la sua capacità di redimersi lottando contro il male assoluto e contro un’ideologia portatrice di morte e di distruzione è credibile e azzeccata.
La contrapposizione non tra il Bene e il Male ma tra simili (Bene e Bene o Male e Male) è veramente efficace, e acquisita almeno da Shakespeare in poi. Anche nella scelta del modo e dei tempi con cui intende combattere il Male, Gilda non si smentisce e rivela la propria natura “inetta”: coinvolta nella guerra, decide di reagire a modo suo, e il risultato è una morte terribile e atroce. L’unico dei tre a sopravvivere è Guy: la sua figura giovane ed equilibrata, sospesa tra il rifiuto della morale convenzionale e la difesa dei valori universali, rappresenta quanto di meglio l’Europa di allora (e di adesso?) potesse dare.

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