hideout

cultura dell'immagine e della parola

Il gioco dell’inganno

Il gioco dell’inganno

Il mestiere di scopare
Edith è una fotografa e realizza i suoi scatti attraverso l’acqua nella boccia del pesce rosso. In realtà è proprio lei a sformarsi. Ferme istantanee in bianco e nero, lucide e levigate come un film di Soderbergh. Jack è un insegnante di letteratura, piccolo piccolo, si definisce solo un lettore. Lei usa i suoi grandi occhi per sedurre e sorridere in primo piano, lui la sua immaginazione per ricordarsi una lontana felicità, flashback mentali dai colori estivi, caldi e alterati. Perché la realtà è del tutto autunnale, dove la tradita e avvinazzata Terry tenta in tutti i modi di ripulire la sua casa, di scopare l’immondezzaio nella sua cucina, ma senza risultato. Ne è incapace, come il marito Jack è incapace di scopare sua moglie senza chiudere gli occhi, senza abbandonarsi al film antico, passato, della passione e dell’amore che sembrava vivo, una volta.
Se la casa di Terry è sporca e oscura, quella di Edith, angelica biondina, rimane sempre illuminata da una luce soffusa e bianca, irreale nell’ordine e nel vuoto degli ambienti. Vuoto il matrimonio con Hank, traditore patologico, vuota la sua mente di scrittrice, chiaramente in crisi. Il suo è passare il tempo lontano, come Terry, trascorrerlo in impossibili idee e pensieri, che non si vedono mai, che lasciano intravedere solo il vuoto totale.
C’è chi dovrebbe fare pulizia e chi ne ha fatta troppa in passato e ora è senza nulla.

Noi non viviamo più qui
Qui o altrove, non sono più esseri viventi. Saggi e maturi sono solo i bambini, segnati già dalla mancanza di rispetto e amore. Jack, il cowboy in bicicletta che scorrazza da una donna all’altra, Hank nella sua egoistica pelle di scrittore, Edith in una bolla d’acqua, Terry in quella di vino. Sono solo i figli a rimanere sull’orlo del precipizio come alla fine, rischiano di cadere a causa dei genitori. Ma tutta la verbosità teatrale di Closer (id., Mike Nichols, 2004) è stata inghiottita dal melodramma, la delicata lentezza di Curran nei movimenti e la sua perfetta macchina del sesso e dell’amore insopportabilmente crudeli chiude un cerchio perfetto attorno al “già visto” aggiungendo una nota patinata di luci stucchevoli. Uomini e donne danno se stessi alla luce nei rapporti di sesso, dove nasce l’unica verità sull’uomo: ma già Kubrick l’aveva messo in bocca alla Kidman: «C’è una cosa che dobbiamo fare il più presto possibile: scopare». Perché manca questa dose sana di freddezza, di sincerità? Quale realismo interpretativo? La simmetria è talmente perfetta, che edulcora tutto il lavoro del film. Che rende insopportabile la presunzione registica di voler raccontare l’intricato rapporto tra esseri di sesso opposto fingendo scandalo, invece dispiegando solo i migliori mezzi cinematografici per mimetizzare una soap da dramma filmico di un “enorme disastro emotivo”. Parla di inganni e non fa che ingannare.

Curiosità
Ha affermato il regista John Curran:
«Vedevo Jack come il classico protagonista dei film western che è combattuto fra il richiamo della libertà e la vita di famiglia. Appena ho visto Mark sulla bici ho deciso che l’ultima inquadratura del film sarebbe stata lui che pedalava in lontananza».

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»