(L)abilità della memoria
Ci sono scrittori che raccontano storie e scrittori che raccontano se stessi. In Labilità ci sono entrambe le dimensioni: l’autore le fonde e le separa, canta in bilico fra di esse.
Uno scrittore maturo e affermato ci apre una finestra sul suo presente: la conoscenza con un giovane autore che si ispira a lui per poi superarlo, la relazione extraconiugale con una collega più giovane mentre la moglie è all’estero per lavoro, la stesura dell’ennesimo libro. Tutte queste vicende s’intrecciano nel corso del racconto e conducono il protagonista a confrontarsi con il proprio passato che si materializza e si fa attivo nel presente quotidiano, a sentire il dolore che porta in sé ogni pagina scritta, perché «C’è sempre un nero nulla tra ciò che inchiodi alla pagina e ciò che resta fuori e che a sentirlo, a pensarlo, ti sembra ciò che ti serviva, già tutto nella mente e tuttavia inafferabile».
Nell’opera, tutto è giocato sul filo di lama della memoria, e un vecchio rasoio (che non a caso campeggia in copertina) è solo una delle immagini simboliche disseminate nel testo, uno di quegli oggetti quotidiani che possono fungere da ponte con l’altra dimensione. Senza farci avvertire fatica alcuna, il narratore/protagonista ci porta con sé nel suo personale percorso di uomo (più che di scrittore), attraverso la vita trascorsa e quella che trascorre, i ricordi e il potere che essi hanno di intervenire, come persone vere, nella vita reale. Nella vita e basta, in fondo, perché nel nostro essere uomini non può sussistere distinzione tra reale e immaginato, e i morti continuano ad essere vivi dopo che sono morti, un corteo di fantasmi che sovvertono e destabilizzano. Così, tra le pagine si aggirano una madre che sarà per sempre bella e un padre che morirà mille volte, per l’autore soltanto, in eterno. Così, la nostra vita presente è radicata nei giochi di bambini, in un uso dell’imperfetto che permette di essere altro da se stessi, e di esserlo per sempre. Così giocano i bambini: io ero il capitano, tu eri il nemico… Io ero ed ero per sempre, in un tempo di cui non si ha reale percezione. Il tempo della scrittura.
«Quanti anni ha, veramente, la persona che si rappresenta eventi o fantasie del passato? [...] E soprattutto: l’età matura esiste o è solo il peso del tempo sull’infanzia, una formula per nascondersi l’orrore che i bambini crescono, invecchiano e muoiono bambini?». E quand’è che avviene il passaggio tra l’io ero e l’io ero uno scrittore? In diversi punti del romanzo si aprono squarci splendidi per umanità e verità sull’infanzia come luogo di incubazione del processo creativo, e sulla giovinezza che prende coscienza di sé: attraverso l’imitazione, attraverso l’aggiustarsi addosso i fatti e le abitudini delle vite di coloro che avevano scritto e che scrivevano.
Del resto, dietro ogni personaggio che abita questa storia c’è un archetipo, un Qualcosa che non è eliminabile dalla memoria e con cui siamo tutti costretti a fare i conti: la Donna e la Donna-Madre, il Padre e il Rivale… E poi, tutt’intorno, Roma come luogo di realtà che si mescola alle camere da letto, alle cucine, ai saloni dei congressi. E poi ancora il Tempo e i suoi oggetti-feticcio, un rasoio, unghie di gatto, figurine di calciatori. Su tutti, infine, la pagina scritta, capace di «custodire anche quello che ci ha attraversato la mente senza che ce ne accorgessimo». Labilità. Il nome della “malattia” di chi vive in bilico tra due mondi: uno dei quali raramente si svela, come accade in questo libro.
Domenico Starnone. Nato a Napoli nel 1943, vive e lavora a Roma. E’ stato redattore delle pagine de “il manifesto”, a cui collabora tuttora. Ha lavorato più volte per il cinema. Tra i suoi libri: Appunti sulla maleducazione di un insegnante volenteroso (Feltrinelli, 1995), da cui sono stati tratti i film La scuola di D. Luchetti e Auguri Professore di R. Milani; Denti (Feltrinelli, 1994), da cui Gabriele Salvatores ha tratto il film omonimo.
A cura di Antiniska Pozzi
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