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Essere “cool”, anche se per poco

Essere “cool”, anche se per poco

È fresco, come una sera fresca dopo una giornata calda. E’ come un’ombra, quando tutto intorno è sole. È leggero, come un abito estivo. È calmo e tranquillo, come chi ha molto sangue freddo. A volte pare senza entusiasmo, ma basta osservare i suoi occhi, e nella sua sfacciataggine e impudenza, scopriamo la sua verve. La sua impronta.
John Travolta torna a vestire i panni di Chili Palmer, il gangster divenuto produttore cinematografico in Get Shorty (id., Barry Sonnenfeld, 1995), questa volta invadendo il variegato mondo della musica.
Be cool, il nuovo film di Felix Gary Gray, cerca di essere un divertente esempio di black commedy, che vuole mettere a nudo le sporcizie, i trucchi e le falsità che gravitano intorno all’industria discografica. Dalla mafia russa, ai rapper dei ghetti, Chili Palmer dovrà affrontare una serie di esilaranti personaggi e demenziali situazioni, per proteggere il talento di Linda Moon, una cantante molto promettente.

Tratto, come Get Shorty, da un romanzo di Elmore Leonard (che in carriera ha visto adattare per il cinema anche altri suoi racconti, tra cui Out of Sight – id., Steven Soderbergh, 1998 – e Jackie Brown – Quentin Tarantino, 1997), il film pur essendo un sequel, girato addirittura dieci anni dopo il primo esplosivo episodio, funziona e non tradisce le attese. E’ divertente, si lascia guardare e, nel complesso, offre allo spettatore un prodotto gradevole. E’ un film che va preso con leggerezza, senza pretese, ma la parodia del “fetore” del mondo discografico ingrana, i dialoghi hanno un buon ritmo, e soprattutto il cast ha fascino e attrae.
Affiancato da una splendida Uma Thurman (qui più bella che brava), che accantonati definitivamente gli abiti della Sposa, indossa in ogni scena abiti sempre più stravaganti, John Travolta conferma di essere un perfetto Chili “cool” Palmer. Un gangster gentiluomo, molto sicuro di sé che non si lascia turbare da nulla. Un uomo pacato, ma di classe. Con stile. Da lontano sembrerebbe il profilo comico di un moderno James Bond. Da lontano, beninteso. Il limite di John Travolta in questo film sembra la sintesi della sua carriera di attore: un’onda che ogni tanto sale e ogni tanto scende. Rimbalza qua e là. E rischia di subire.

Senza grosse pretese Be cool, quindi, si offre come parodia di un’industria, quella discografica, diversa nelle forme, ma non nelle magagne, da quella cinematografica hollywoodiana. Non ci sono moralismi o patetismi. Anzi. Gli stereotopi in realtà sono vere e proprie maschere. E se l’intreccio non vi interessa perché pensate non vi appartenga, basta attendere qualche istante, perché i ritmi brasiliani vi trascinino in un irresistibile vortice musicale. Infatti dopo lo straordinario twist sulle note di You never can tell, avvenuto in Pulp Fiction (id., Quentin Tarantino, 1994), Uma Thurman e John Travolta ripropongono, su ritmi latini, un’altra spassosissima scena di ballo. Che vale il prezzo del biglietto.
Uno sguardo è dedicato anche alla colonna sonora, che frulla artisti di vario genere, da James Brown a Bob Dylan, dai Black Eyed Peas ai Sixpense None The Richer, fino alle note amare degli Aerosmith, rappresentati da un impressionante (nel male dai suoi contorni, nel bene dalla sua energia) Steven Tyler.
L’impressione è che i primi a divertirsi siano gli attori stessi: Danny De Vito, James Woods, Harvey Keitel o Vince Vaughn giocano e sembrano a loro modo un pò cool. Mai quanto Chili, john travolta, Palmer. Che nonostante i continui alti e bassi, ogni tanto, anche se per poco, ricorda l’indimenticabile/ineguaglialbile Vincent Vega. Be cult.

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