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cultura dell'immagine e della parola

Voglia di tenerezza (tanto ispanica e poco americana)

Voglia di tenerezza (tanto ispanica e poco americana)

Spanglish – neologismo che esprime un palese ibridismo linguistico – è già in se stesso non un accostamento ma una vera e propria fusione di due culture, di due universi valoriali: questo è proprio ciò che succede quando a casa Clusky – classico stereotipo della famigliola americana perfetta all’apparenza ma che in realtà vive una profonda crisi in tutti i suoi componenti – viene assunta una semplice e tenace ragazza messicana, totalmente ignara della lingua del paese in cui vive. Questo è infatti il commento della voce off della figlia, che commenta a posteriori tutta la storia: «Dopo tutto il tempo che ha trascorso in America finalmente Flor fa il suo ingresso in un paese straniero».
James L. Brooks, esperto regista ed ottimo valorizzatore delle risorse umane a sua disposizione (basti pensare al Nicholson e alla Hunt di Qualcosa è cambiatoAs good as gets, 1997 -, in cui sfiora la retoricità di alcune raffigurazioni sia psicologiche che somatiche, come la madre alla ricerca del fisico bestiale, la figlia depressa a causa della sua obesità, la nonna ex protagonista della scena musicale e ora incompresa ubriacona, e di alcuni dualismi tipici del genere, come la madre ricca che s’illude di comprare materialmente l’affetto di una figlia contrapposta alla madre sfortunata dotata di senso dell’onore e portatrice di intatti valori secolari) ma almeno è abbastanza abile a non fare di quest’ultima sua opera un’insulsa e fin troppo prevedibile commedia sentimentale americana con tanto di happy ending.

Casa Clusky rappresenta non solo una tipica scenografia del vacuo benessere americano, ma è una fabbrica umana in cui ogni personaggio cerca di plasmare la propria identità e dove in particolare John (interpretato da un Adam Sandler sempre più maturo dopo Ubriaco d’amorePunch-drunk love, Paul Thomas Anderson, 2002), marito tradito e insoddisfatto scoprirà, più di tutti, di essere la vera anima straniera nel proprio territorio. Il suo confronto con Flor è uno scambio di due medesime vulnerabilità, dove diventano marginali anche le barriere della comprensione linguistica e scatta un’inevitabile attrazione dell’altro che è in noi.
Entrambi guardano al proprio ruolo familiare come una missione da portare avanti e nei loro sguardi scorgiamo quella fusione – proprio lo Spanglish di cui Brooks si fa “testimone sociologico” – che però non può concludersi con la presunzione di un idillio, con una sospensione gravitazionale che faccia lievitare, come si vede in una scena del film, i loro corpi liberamente in uno spazio che li isoli dai loro contesti: Flor e John, sebbene immersi in questa intensa voglia di tenerezza, non possono sottrarsi al peso delle loro missioni e devono dissipare così il loro desiderio.

Cristina, che noi vediamo bambina ma che ascoltiamo ragazza cresciuta pronta agli studi universitari, ammira proprio questo senso materno di abnegazione e ci persuade col suo dolce tono diaristico che, nonostante la sua esposizione ai fasti di piscine e villette sul mare, in lei a vincere sarà la sensibilità ispanica, quella istintiva – dolente del sacrificio – e allo stesso tempo della tenerezza primigenia nel sapore di un litigio. E James L. Brooks focalizza bene su questa dialettica, consegnando tutto il senso dell’opera alla fine, proprio come all’inizio, alle immagini di un abbraccio sentito tra madre e figlia – una sentenza che magari ai molti apparirà fin troppo buonista ma che in realtà ben esprime l’inespugnabilità, nella difficoltà del sentire chi ci circonda e del comunicare, di un valore unico quale quello del bene di un genitore.

Curiosità
Per prepararsi adeguatamente al suo ruolo, Adam Sandler si è recato al ristorante del grande cuoco Keller a Napa Valley, la prima volta in qualità di cliente. Successivamente l’attore è tornato nel locale, lavorando fianco a fianco con lo staff dello chef.

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