Perdonare lacera o (ri)paga?
Attraverso il percorso delle stagioni, dall’estate fino ad arrivare a un’estate successiva, una coppia si ama con calore di sguardi, tutta intenta nella propria attività: lui lavora in una fonderia, lei si prende cura della numerosa famiglia e della casa. Lei, Elisa, è una moglie devota sin dalle prime scene: assiste al pranzo di lui, Gilles, seduta di fronte, sorridente, lo serve accuratamente. Rimane incinta, arriva l’autunno. I colori mutano, cominciano ad apparire i grigi invernali. Gilles, sin qui affettuoso e dedito al rapporto amoroso con la propria donna, si raffredda, non ricambia più i suoi abbracci, è come distratto e lontano. Forte e intenso, si insinua in Elisa il dubbio ben presto fondato del tradimento del marito.
Il percorso della figura femminile si completa fino a chiudersi, nel rappresentare Elisa come donna accogliente che ospita le pene d’amore del marito. Moglie-mamma-complice: Fonteyne è abile nel mostrare, nel raccontare principalmente per immagini di sguardi e suoni di rumori (il vento è protagonista della scena dell’approccio fra i due amanti) questa storia di provincia imperniata più che sulle azioni della donna protagonista, sulle sue reazioni, sulle sue risposte, fisiche e verbali, a ciò che di tragico e di assurdo le accade intorno. Elisa è fragile e malinconica nel suo sguardo curioso verso le statue sacre e sofferenti di una chiesa, nella quale è intenta a pregare e non trova la sperata consolazione, oppure nei suoi occhi che spesso vagano in alto-altro, chissà dove. L’occhio dell’autore è vicino al suo volto femminile, espressivo e inespressivo allo stesso tempo, ed è spesso anche dietro le spalle dei due protagonisti. La scelta stilistica di Fonteyne è superbamente raffinata: mutamento di punti di vista, coraggio di raccontare senza far parlare e far vedere, utilizzo di immagini a fuoco e sfocate insieme, a voler significare che La donna di Gilles è prettamente un film di sguardo rarefatto e dilatato.
Ne è un esempio pregevole la scena girata nel locale da ballo, nella quale la brevissima sequenza fissata sullo sguardo della protagonista che mette a fuoco la verità è incorniciata dal suono ovattato della sua mente, sconvolta e attonita nel dolore.
Arrivano una primavera e poi l’estate, il figlioletto compie i primi passi, i colori si rinvigoriscono, Gilles sembra guarito, il dolore e la stanchezza di Elisa sembrano alle spalle; ma nell’epilogo, ricco di una luce forte che entra da una finestra mostrata dall’ennesimo, ma più artificioso, punto di vista, arriva lo squarcio del buio in Elisa.
Il tono globale del film, tratto dal romanzo omonimo del 1937 della scrittrice belga Madeleine Bourdouxhe (1906-1996), è la delicatezza, anche nelle scene più crude e disperate. Perfino l’inevitabile lacerazione a seguito di un’esperienza difficile, che costituisce il senso del film, viene posta allo spettatore con delicata gravità, priva di eccessi.
A cura di
in sala ::