Spaghetti Eastern
Stupisce Sword in the moon, per la sua capacità di non stupire. Tutto è costruito in pompa magna, scenografie, costumi, coreografie, ma il meccanismo non funziona, gli ingranaggi non sono oliati a sufficienza e la noia regna sovrana. Il film di Kim Eui-Suk appartiene al genere basato sulle arti marziali, come altre recenti opere coreane, ad esempio Out Live (Bichunmoo, Kim Young-jun, 2000) o Musa (id, Kim Sung-su, 2001). La particolarità sta nel fatto che sia stato girato in territorio coreano, mentre i due precedenti in Cina. Contrariamente ad altre pellicole che si basano sull’azione irreale ereditata dal cinema di arti marziali cinese, Sword in the moon è un film di arti marziali classiche dove l’azione è soprattutto reale. Gli attori sono stati appositamente istruiti all’equitazione e all’uso della spada e avrebbero utilizzano spade autentiche anche nelle scene azione più frenetica. Basta una nota di produzione del genere per giustificare un film che all’apparenza non funziona?
Dopo La tigre e il dragone (Wo hu cang long, Ang Lee, 2000), Hero (Ying xiong, Zhang Yimou, 2002) e La foresta dei pugnali volanti (Shi mian mai fu, Zhang Yimou, 2004), Sword in the moon ha il pregio di far sperare agli appassionati di wuxpian (il cinema di arti marziali in costume), di cui il sottoscritto fa parte, che il genere abbia finalmente sfondato le frontiere dell’estremo oriente permettendo di rendere visibile anche al pubblico occidentale capolavori come Once upon in China (Wong Fei-hung, Tsui Hark, 1991) o The Blade (Dao, Tsui Hark, 1995). In realtà non c’è alcuna novità in questo film tale da renderlo memorabile, o per lo meno godibile. La trama ricalca in modo ovvio gli stilemi del genere: la situazione iniziale è negativa, l’eroe lotta per ripristinare la pace ma è considerato un traditore, l’amico che non ha tradito (ma tradirà) sta dalla parte del potere, un lungo flashback a un terzo della narrazione racconta quanto erano belli i vecchi tempi, i combattimenti sono coreografici ma datati in confronto a quelli che ci ha abituato il post-Matrix.
Stupisce la locandina del film, che si fregia orgogliosa della selezione ufficiale un certain regard al Festival di Cannes 2004 nonché del premio speciale della Giuria come miglior regia al Festival di New York 2004.
Che ai festival spesso non vincano i film più belli ma quelli che sono piaciuti di più alle giurie è ormai ovvio e assimilato dal pubblico cinefilo, ma in questo caso ci sarebbero molte domande che il sottoscritto vorrebbe porre a selezionatori e giuria…
A cura di Carlo Prevosti
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