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Mangia sano, vivi bene!

Mangia sano, vivi bene!

Dimmi cosa mangi, ti dirò chi sei di Carlo Prevosti

Il popolo americano è afflitto da una piaga che potrebbe essere paragonata a una malattia, l’obesità. Meglio ancora, proprio di malattia si tratta, essendo causa di una serie di sintomi che ledono la salute, non ultime gravi patologie cardiache. L’obesità congenita è un fenomeno a carattere ereditario, su questo non ci piove. Ma perché molti bambini che non hanno raggiunto ancora i dieci anni arrivano a pesare quasi un quintale? Le risposte sono molte: poco moto, troppa televisione, cibo sregolato. Risposte ovvie ma che nessuno si è mai premurato di verificare quanto davvero fondate. Alcuni apocalittici accusano, le multinazionali del cibo precotto calmano le acque, Morgan Spurlock, dopo la denuncia di due ragazzine a Mc Donald’s, decide di offrire il proprio corpo come una cavia per testare gli effetti di una cura intensiva a base di Big Mac e patatine fritte.

Parla come mangi. L’inglese è la lingua internazionale, il latino del nuovo millennio ma anche l’idioma basic, così le decine di migliaia di punti di ristorazione delle catene di fast-food sparse nel mondo (anche la piazza Rossa di Mosca è stata conquistata) uniformano il way-of-eating di chi vuole mangiare in modo veloce (o non può godere dei pregi dello slow-food, sigh). Il problema sta nel fatto che questi cibi, all’apparenza semplici, sono in realtà sofisticati da lunghi processi di trattamento industriale (pensavate di mangiare vero pollo nei Mc Nuggets?). All’organismo umano è così richiesto uno sforzo sovrabbondante per la digestione di enormi quantità di zuccheri e di grassi saturi, tanto da compromettere alla lunga (anche se Spurlock dimostra che non serve poi così tanto tempo…) la funzionalità del fegato e del sistema digerente nel complesso.

Super Size Me è un documentario molto rigoroso, nonostante l’apparenza da bancarella dei panini. Il regista/cavia si sottopone ad una dieta/tortura di un mese sotto il preciso sguardo di medici, di dietologi, di un personal trainer, di uno psicologo e della fidanzata (vegetariana!). Nulla a che vedere con l’ingombrante figura di Micheal Moore, Spurlock non è un rompiscatole che assedia come una iena le porte degli uffici dei responsabili di Mc Donald’s, Taco Bell o KFC. Sceglie invece di partire dal basso, di analizzare la questione per le strade, in mezzo a quella gente che poi, finita l’intervista, andrà in un fast-food a prendere una porzione maxi di anelli di cipolle.

Il documentario coglie nel segno, risveglia nello spettatore uno spirito critico nei confronti di ciò che mangia, permettendogli di rendersi conto di quanto la nutrizione influisca non solo sullo sviluppo fisico del nostro corpo ma anche su quello psicologico, provocando sindromi depressive e dipendenze patologiche da zuccheri e caffeina. La domanda che sorge spontanea (come nei film di Moore) è se un documentario del genere riesca a raggiungere in grande pubblico e non solo coloro i quali già pensano come Spurlock.
Il sottoscritto, mentre scriveva queste considerazioni, si divideva tra computer e fornelli per curare un ragù di carne. Effetto sortito, buon appetito!

Cinema di denuncia in salsa curry di Ciro Andreotti

«Chiunque sa che mangiare menu extra large di hamburger e patate fritte compromette la propria salute, ognuno però deve anche capire da solo quando è più opportuno fermarsi…».
Ovvia considerazione ma allora: per quale motivo tutti gli americani mangiano male sapendo che questo non va bene? Dimostrare che cosa possa spingere la popolazione “più all’avanguardia del pianeta” nelle condizioni di mandare in frantumi la propria salute è il vero obiettivo di questa pellicola tanto osannata in patria quanto ostracizzata dai veri nemici della stessa, ovvero i giganti dell’alimentazione Usa, capaci di attirare i clienti fin da piccoli fornendo loro giocattoli, colori, intrattenimento e tutto ciò che possa assuefarli in cambio di un pezzo della loro salute e di pochi spiccioli.
Per trovare una risposta a questa semplice domanda, il documentarista Morgan Spurlock afferra a due mani il dattiloscritto della sentenza nella quale “La grande M” ha rischiato seriamente di rimanere impantanata: due adolescenti obese, ree di essersi alimentate a colazione, pranzo e cena presso i fast food Mc Donald’s avevano difatti intentato una causa contro la grande multinazionale dell’alimentazione colpevole di averle rese obese. Minaccia sventata da una giuria che con certezza affermava: «…un’assenza di responsabilità oggettiva da parte della catena di fast food Mc Donald’s…».

Spurlock, fidanzato con una vegetariana, consuma un’ultima cena a base di sfogliata di verdura e insalata e, seguito da un’equipe medica che inizialmente ne sancisce un perfetto stato di salute, si sottopone a un mese di Mc dieta cercando di non trasgredire ad alcune semplici regole:
• Mai alimentarsi con qualcosa che non provenga da un fast food Mc Donald’s, acqua minerale compresa.
• Mai acquistare un menu Super Size, ovvero di dimensioni abnormi, a meno che non gli sia proposto da un commesso del fast food.
• Eventualità che si verificherà quasi durante ogni pasto.
• Obbligo di provare almeno una volta tutti i piatti presenti nel menù esposto.
Per un’economia basata pesantemente sul commercio di Junk Food (cibo spazzatura) le cui campagne pubblicitarie varcano le centinaia di miliardi, la causa delle due famiglie poteva risultare ben più di una semplice minaccia e Spurlock, a preambolo di questo docu-drama, pone questo particolare caso di obesità, nella quale è avvolta la società a stelle strisce, quale baluardo da scardinare e interpretare.
Intervistando gestori di mense scolastiche, responsabili di aziende di pubblicità, sociologi e dietologi ma anche semplici passanti e fruitori giornalieri dei fast food, Spurlock giunge alla conclusione ultima che la varietà di offerta di cibo di scarsa qualità, facilmente accessibile per pochi dollari, lo stile sedentario, la scuola e la pubblicità, invadono e pervadono la vita e i gusti dell’americano medio modificandone fin dall’infanzia le abitudini.

Difficile non sorridere, come è capitato al Sundance Film Festival, dove il film è stato premiato come miglior regia, davanti all’ennesimo sforzo fisco per completare l’ennesimo Mc Menu al solito in formato Super Size. Al tempo stesso però ci si accorge come le previsioni iniziali, esposte dall’equipe medica, di un lieve aumento di peso e trigliceridi vengono rapidamente smentite dai fatti: l’aumento di peso sfiora la bellezza di undici chili, senza contare: aumento di colesterolo e di depressione latente, oltre che la completa assuefazione ai cibi come Big Mac e patate fritte, e infine una diagnosi che diviene una sorta di condanna: «…se prosegue il suo esperimento mette a serio repentaglio la sua vita, meglio che si fermi finché è in tempo… ».
Super Size Me è girato in presa diretta e firmato da un seguace di Michael Moore, dal quale però prende le distanze in maniera fresca e innovativa, senza abbandonarsi in politicizzazioni del caso. Morgan Spurlock pone il suo corpo al servizio di una delle cause di più alta mortalità, che a breve potrebbe riuscire a scalzare alcoolismo e tabagismo dai vertici delle ragioni di morte del nuovo continente.

Curiosità
La Mc Donald’s, pur non ammettendo le responsabilità di cui è accusata nel documentario di Spurlock, ha eliminato dai suoi menu l’offerta Super Size. Wendy’s, un’altra catena di fast food, dopo l’uscita in Usa della pellicola, ha modificato i suoi menu alleggerendoli di fritti e grassi saturi e aggiungendovi frutta e verdura. La fidanzata di Spurlock è in procinto di pubblicare un libro di ricette vegetariane che hanno permesso al fidanzato di recuperare la forma fisica smarrita al termine del suo Mc mese.

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