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L’Italia è seduta. Ma a volte cammina

L’Italia è seduta. Ma a volte cammina

L’Italia è un caffè (amaro). Una fotografia (sbiadita). Una bottiglia di vino (rotta). Una lettera. La vita vera prima o poi comincerà. I sogni e le utopie sono quelli di chi spera, di chi crede di lottare, di chi viene sconfitto. L’Italia è un trucco. L’Italia è un dubbio e poi è una scelta. A volte è quella giusta, a volte è quella sbagliata. L’Italia è certezza o rischio. L’Italia è stare in piedi e camminare o stare seduti e aspettare. Come un orologio. Ma l’Italia è anche una poesia. Un prato notturno illuminato di natura. Una barca. I ricordi. Il desiderio di se stessi. Il seme del talento che va seminato. L’Italia è un altro caffè. Più dolce.

Viva l’Italia, l’Italia liberata, l’Italia del valzer, l’Italia del caffè.
L’Italia derubata e colpita al cuore, viva l’Italia, l’Italia che non muore.
Viva l’Italia, l’Italia che lavora, l’Italia che si dispera, l’Italia che si innamora,
l’Italia metà dovere e metà fortuna, viva l’Italia, l’Italia sulla luna.

L’Italia è malata. Sindrome da mediocrità. In troppi si sono già arresi. In troppi stanno seduti ad attendere col senno di poi. Allora ci pensano i giovani a costruire, a risollevare il morale, a collezionare nuovi ricordi. I giovani che hanno sempre nelle vene l’entusiasmo, la voglia e il desiderio di fare e bene. I giovani come architetti della storia, progettisti di un futuro che non è ancora scritto. Qualcosa di incerto, figlio di un presente e di un passato bugiardi. Ma tutti, nessuno escluso, ne disegnano una parte. Perché non esiste soltanto un’unica forma. Ognuno ha la propria. Qualcuno è libro, qualcun altro è rifiuto.

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso, siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da masticare.

Dopo aver rappresentato con Casomai (2002) le gioie e i dolori che il rapporto di coppia si trova ad affrontare, Alessandro D’Alatri realizza un altro progetto molto personale. Attraverso La febbre, infatti, il regista dichiara il proprio atto d’amore nei confronti dell’Italia, senza però nascondere le contraddizioni e le assurdità che ne offuscano spesso la bellezza. Concentrato sulle vicende di Mario Bettini (Fabio Volo), un giovane trentenne che si specchia nel proprio futuro, ma inciampa di continuo nel presente, il film ha il pregio innanzitutto di essere costruito sulle immagini. L’acuto utilizzo degli effetti speciali e il grande lavoro musicale (la colonna sonora realizzata dai Negramaro) contribuiscono a farne un pacchetto ben confezionato e stimolante. Lo spettatore di conseguenza è invitato ad entrare nel film. A pensare e a confrontarsi. Forse anche a criticare, ma sempre con sguardo partecipato. D’Alatri è uno dei registi più autoriali del momento proprio per questo. Quale occhio non ha avuto modo di immedesimarsi nei personaggi di Casomai? Quale occhio, ora, non si ritrova in almeno una delle assurdità che Mario Bettini deve affrontare?

E poi ti dicono “Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”.
Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone, la storia entra dentro le stanze, le brucia, la storia dà torto e dà ragione.

Il regista romano, giunto al suo quinto lungometraggio, realizza quindi un film ambizioso, audace e anticonvenzionale. Corre il rischio di essere un po’ troppo didascalico, di spiegare troppo. Ma forse, certe cose, è meglio dirle, che lasciarle cadere. Un film che parla dell’Italia, patria meravigliosa che soffoca le potenzialità dei giovani. Un film sul mondo del lavoro, che è diviso tra sogni, illusioni e assurdità. Un film sulla famiglia, sulle scelte, sull’amicizia, e inevitabilmente, un film sull’amore. Tanta carne al fuoco. Ma niente è melodrammatico. Come in Casomai. Infatti anche i momenti più delicati sono rappresentati con uno sguardo ironico e delicato, a volte surreale, comunque mai banale.

La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere, siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.
E poi la gente, (perché è la gente che fa la storia) quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi, perché nessuno la può fermare.

Mario (Fabio Volo) e Linda (Valeria Solarino) sono la risposta di Alessandro D’Alatri. Una delle tante medicine che l’Italia potrebbe assumere. Ma non esiste solo una forma di cura. Ne esiste una per ognuno di noi, sembra dirci il regista. Gli stessi protagonisti danno risposte diverse per se stessi: uno taglia il pizzetto, crede nello stipendio a fine mese e sogna un locale; l’altra guarda intensamente, vola in America e sogna la poesia. Ma con l’amore è tutto più semplice. Condividendo. La febbre è anche un film sul valore della memoria, sull’importanza dei ricordi. Un percorso dentro se stessi, uno sguardo nelle radici. Un tentativo e al tempo stesso un’opportunità. Di capire cosa si vuole diventare. Non farsi diventare, ma diventando. Protagonisti indiscussi della nostra vita.

La storia siamo noi, siamo noi padri e figli, siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano.
La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.

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