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Pasolini in Taiwan

Pasolini in Taiwan

E’ facile farsi sedurre dalle soluzioni grafiche degli art director di Einaudi. Ma una Bai Xianyong nel 1981volta che si è penetrato il mood del libro attraverso lo scorcio del volto in copertina – un ragazzo che si fa schermo con le mani, come a proteggersi da uno sguardo o da un pugno – il resto è buio. Di Bai Xianyong in Italia non sappiamo nulla. Della letteratura di Taiwan, luogo dal quale proviene e del quale il romanzo parla, oso dire che sappiamo altrettanto poco. In più il libro è datato 1983, e racconta di vicende accadute circa dieci anni prima. Eppure la trama è sufficientemente attraente per avventurarsi tra questi orizzonti vergini.

Un gruppo di ragazzi trascorre la vita e se la guadagna, prevalentemente prostituendosi, nel parco cittadino, sulle rive del Lago dei Loti; qui fonda, per semplice consuetudine di convivenza, una comunità autonoma e limitrofa rispetto alla vita della Taiwan in crescita, regolata da leggi dettate un po’ dai muscoli, un po’ dal carisma. Una comunità che racconta le proprie radici attraverso un repertorio di leggende accumulatesi negli anni, come quella, poetica e struggente, della storia d’amore e morte di due giovani, il Dragone e la Fenice.

Cosi, inattesi, durante la lettura emergono motivi e temi più vicini a noi di quanto si possa pensare. La vita nel parco, tra eccessi etilici e vagabondaggi fisici e metafisici, richiama le vicissitudini che Christiane F. raccontava dallo zoo di Berlino, proprio in quegli anni. E ancora, nel tema dell’omosessualità e del sentirsi limitrofi rispetto a una società che va costruendosi, nelle parole di ragazzi che descrivono se stessi dicendo: «In questo piccolo mondo chiuso, tutti tendiamo mani affamate, assetate, disperate, ci afferriamo, ci tiriamo, ci lasciamo con ferocia, come se volessimo prendere dal corpo dell’altro una compensazione», è difficile non cogliere una razionalizzazione dei sentimenti del Riccetto e degli altri ragazzi di borgata degli affreschi pasoliniani. E il paragone è storico non meno che letterario: come Pasolini, anche Xianyong descrive gli strati invisibili di una società che, di lì a pochi anni, verrà proiettata senza quasi avere il tempo di accorgersene nei turbini della rivoluzione sessuale e dell’impennata dei consumi. Scoprire che la gioventù italiana del dopoguerra, quella tedesca del crollo del Muro, e quella cinese dei prodromi di Tienanmen si somigliano e solidarizzano sulle stesse questioni cruciali, è una riflessione che vale la lettura di questo libro.

In più, ci resta la rarefatta grazia orientale di Xianyong che irradia un fascino malinconico e saturnino su questi ragazzi di vita, in vendita sotto il chiaro di luna.

L’autore. Bai Xianyong è nato in Cina nel 1937. Figlio di un generale del Guomindang, ha sempre vissuto a Taiwan. Studente di Letteratura inglese prima, e poi insegnante di Lingua cinese in California, scrive Il maestro della notte nel 1983, ma il libro è colpito dalla censura fino al 1987. Attualmente viene considerato uno dei romanzi più significativi della letteratura taiwanese.

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