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Più produzione senza padrone

Più produzione senza padrone

Dopo gli ottimi Bowling a Columbine (Bowling for Columbine, 2002) e Fahrenheit 9/11 (id., 2004) di Michael Moore, The Take conferma che sono i film a carattere documentaristico a fornire la più limpida traduzione delle nebulose dinamiche socioeconomiche delle società contemporanee.
Come se il documentario in sé, data la sua implicita vocazione all’oggettività, si proponesse come spontanea forma di rigetto nei confronti di un grottesco impero eufemistico, spesso spalleggiato dai media, in cui locuzioni del tipo “lavoratori in esubero”, “distrazioni di cassa”, “fuoco amico”, “danni collaterali” e “bombe intelligenti” cercano disperatamente di celare dietro ridicole foglie di fico la cupa realtà che ci circonda. Una forma di ipocrisia istituzionalizzata che rinuncia ad informare correttamente l’opinione pubblica, nel timor panico che la verità nuda e cruda porti a un malcontento generalizzato o addirittura a degli sconvolgimenti sociali.
Letto da questo punto di vista, quindi, il film di Avi Lewis e Naomi Klein suona come un logico antidoto a questo tentativo di “distrazione di massa” che, ricordiamolo, di recente ha avuto un enorme successo, convincendo decine di milioni di americani che la guerra contro l’Iraq veniva attuata per debellare degli arsenali di armi nucleari e batteriologiche poi mai trovati.

Nel nostro caso, The Take, tramite un lavoro d’inchiesta, di ricostruzione storica e di “inseguimento della realtà” di tipo zavattiniano, fa chiarezza sul collasso dell’economia argentina del dopo Menem, sulla fuga dei capitali esteri e sulla susseguente disoccupazione di massa che travolse il paese sudamericano nei primi anni duemila.
Una violenta crisi economica causata dalla globalizzazione selvaggia voluta dal presidente Menem, che in breve tempo portò alla svendita del patrimonio statale e a una progressiva e inarrestabile distanza tra classi ricche che si arricchirono ancor di più e un ceto medio che varcava inesorabilmente la soglia della povertà.
Una brutta storia di milioni di famiglie ridotte in rovina e al contempo di fulminei arricchimenti di quei rappresentanti finanziari delle multinazionali che prima ringraziarono per gli immensi guadagni acquisiti e poi, nottetempo, come perfetti ladri, annusando odore di rivolta popolare, se la diedero a gambe levate prelevando dalle banche tutto il capitale accumulato.
Un’accolita di farabutti spalleggiata in tutto e per tutto dal Fondo Monetario Internazionale. Malfattori in doppiopetto, però, e assolutamente legalizzati ad esserlo, in quanto quella repentina fuga di capitali dall’Argentina non era contraria a nessuna legge dello stato, anzi, era prevista e approvata. Poco importava a quei delinquenti dell’alta finanza se quel drastico prelievo di capitali avrebbe messo alla fame metà del paese che li aveva ospitati. Ma la risposta popolare a quelle ruberie non tardò ad arrivare.

E The Take ci fa vedere anche questo. Dimostrandoci, con i fatti, che il verbo dei no-global per il quale “un altro mondo è possibile” non è solo uno slogan, ma una prassi assolutamente realizzabile e addirittura competitiva.
Ne fanno fede, sempre nel film, le esperienze degli operai della Zanon e delle operaie della Brukman. In entrambi i casi, dopo la fuga dei proprietari delle aziende e il licenziamento di tutti gli operai, questi ultimi pensarono bene di occupare le fabbriche per renderle nuovamente produttive. Da lì lo slogan: “Occupare, Resistere, Produrre” che a oggi, tramite l’autogestione delle aziende, in due anni ha ridato un impiego a quindicimila lavoratori argentini. E con regole assolutamente nuove: stipendio uguale per tutti e uguali responsabilità nell’evitare sprechi o danni ai macchinari e alle strutture dell’azienda. Un’assunzione piena di responsabilità che, in breve tempo, ha comportato una maggiore produttività a costi più bassi. Ergo, la produzione cresce di più se senza padrone, o meglio, dove tutti lo sono in ugual misura.
Ma il peggio, in un certo senso, doveva ancora arrivare. Perché, vista la rinascita produttiva di certe aziende autogestite dagli operai, gli industriali che le avevano abbandonate cercarono di tornarne in possesso per vie legali. Una pretesa che il redivivo Menem, ripresentatosi alle elezioni per la presidenza dell’Argentina, fece propria cavalcando con fiera faccia tosta il ristabilimento dei diritti della proprietà privata. Il resto è storia d’oggi. L’Argentina non accettò oltre al danno economico la beffa di una riappropriazione di beni dismessi, Menem si ritirò dalla corsa per la presidenza e gli operai in autogestione ora lavorano in aziende espropriate con tutti i crismi della legalità.
Questo è The Take: una lettura della storia mentre questa si sta ancora scrivendo. Un cinema attivo e in divenire che non rimane chiuso in una sala, ma che continua a camminare con le nostre gambe e la nostra voglia di un mondo migliore.

Curiosità
Naomi Klein è autrice del bestseller internazionale No Logo: economia globale e nuova contestazione, la cosiddetta “bibbia” del movimento No-Global.

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