hideout

cultura dell'immagine e della parola

L’ultimo presidente

L’ultimo presidente

Le ultime parole dei grandi uomini hanno sempre un che di falso. Come se questi, all’approssimarsi della morte, si fossero preparati la battuta finale, l’uscita di scena. Ciò che veramente c’è da dire lo dicono coloro che sopravvivono, e forse nemmeno parlano, ma fanno quello che il morto più desidererebbe: calano il sipario. Questo il pensiero del Mitterand degli ultimi minuti, che si aggiusta il vestito e raccoglie l’ultima dignità in attesa della fine, come il Drogo de Il deserto dei tartari. A differenza di quest’ultimo, che trova un riscatto alla propria esistenza solo pochi istanti prima di morire, il Mitterand del bellissimo film di Guédiguian chiude da protagonista mezzo secolo di Storia francese, dopo avere ricoperto il ruolo di “guida” della nazione così a lungo che prima di lui è necessario risalire fino a Napoleone III.

Il Mitterand degli ultimi mesi appare come un monarca accerchiato da cortigiani malevoli, che si fregano le mani in attesa che si liberi quel posto così a lungo occupato. Un Mitterand molto popolare ma allo stesso tempo fortemente inviso alla coeva classe politica: a sinistra, chi lo rimprovera di essere troppo a destra e di avere contribuito all’emarginazione del partito comunista; a destra, chi non gli sconta il tradimento delle proprie origini medioborghesi e il progressivo slittamento a sinistra.

Guédiguian chiama a co-sceneggiare lo stesso Georges-Marc Benamou, autore della controversa biografia sullo statista francese da cui il film è tratto, e snoda la narrazione attraverso i dubbi e le lacerazioni di un giornalista (interpretato da Jalil Lespert) chiamato dallo stesso Presidente a raccogliere le sue memorie. Un testimone d’eccezione che vede la propria devozione alla persona politica di Mitterand vacillare sotto le allusioni riguardo a una sua presunta connivenza con il governo di Vichy, nel 1942-43, accenni che aleggiano nell’aria come corvi la mattina della battaglia, istigati dalla malattia e dalla debolezza del Presidente. Ma non è più tempo di certezze, né di ripensamenti. Mitterand è stanco, e ciò che ha fatto, ciò che ha detto, parlerà per lui. Resta un uomo (apparentemente) senza più sogni, che coltiva l’indifferenza. Al giornalista manca solo una conclusione, ma il Presidente è ormai alle prese con un finale ben più impegnativo.

L’ultimo Mitterand prevedeva l’avvento di una società globale, inebriata dalla sirena del liberismo sfrenato, in cui vigesse la legge del più forte e la logica della prevaricazione, del denaro quale unico movente per le azioni umane. Quelle parole appaiono oggi tetramente profetiche.
«Sono l’ultimo dei grandi Presidenti. Dopo di me, non resteranno che contabili, e burocrati.»

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»