Tra cronaca e incubo
Parlando di questo romanzo di Peace non possiamo non considerare l’ambientazione: uno Yorkshire freddo e umido, tetro, che lascia trasparire la puzza di marcio dalle pagine del libro. Un marcio reale, che infesta gli stipiti delle case, che si nasconde nelle imbottiture delle poltrone, che invade l’anima delle persone.
In questo ambiente malsano si muovono i personaggi. I protagonisti della vicenda sono due: il vice capo della polizia Philip Hunter, il “Santo Stronzo”, e lo squartatore dello Yorkshire. Attraverso i loro occhi possiamo entrare nel cuore nero e marcio dell’Inghilterra dei primi anni ottanta: un cuore nero e decomposto, spettrale come le ali che Hunter si sente uscire dalla schiena durante le sue rare ore di sonno. Il libro è tutto raccontato attraverso lo sguardo del detective, con il quale possiamo anche condividere le delusioni, il dolore e l’orrore. Peter Hunter è lo sguardo che ci mostra alcune cose tenendocene celate altre, facendoci credere fino alla fine di conoscere qualcosa in più rispetto a noi. Ma è il lettore in realtà a essere avvantaggiato rispetto al detective, perché può conoscere i fatti anche attraverso il delirante caleidoscopio dello squartatore. Ogni capitolo, infatti, è aperto da una “trasmissione”, che mostra allo spettatore il mondo filtrato dagli occhi di carnefice e vittime. Questa “trasmissione” è strutturata come un “flusso di coscienze”, che parlano come il flusso radiofonico, frenetico e ininterrotto. La radio è la terza voce narrante di questo romanzo, una voce che segue Hunter in tutti i suoi spostamenti e che avvicina il lettore alla cronaca dell’epoca in cui si svolge la vicenda, un’epoca di marcio e di sangue, di segreti e di guerra.
Hunter, a capo di un trust di cervelli, insegue lo squartatore per bloccarlo, ma più avanza nella sua ricerca e più si trova invischiato nelle sabbie mobili della corruzione, della violenza e dell’omertà. Una specie di fanghiglia marcia che non solo avvolge Hunter, ma che gli entra nel petto, per riaprire vecchie ferite, per riportare a galla il suo scheletro personale, il suo piccolo aborto, il germe di tutto il suo male.
Lo stile dello scrittore inglese è molto asciutto e freddo, quasi metallico. Sembra lasciare in bocca il gusto della carne cruda e fredda. Ma come detto prima la realtà trasuda marciume dalla sua forma perfetta.
Peace è stato acclamato da più parti come il James Ellroy inglese. Probabilmente il paragone è superficiale. Ellroy estende il punto di vista cercando di dare la visione generale, Peace lo parcellizza per creare l’esperienza particolare. Dove l’americano è politico l’inglese è metafisico, permettendo quindi al lettore un esperienza non tanto di coinvolgimento, ma di sconvolgimento interiore.
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