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Dove (non) illumina l’eclissi di un cuore

Dove (non) illumina l’eclissi di un cuore

Uscire dal guscio, rompere la corazza che la società impone all’uomo di crearsi, separandolo dalla parte più autentica di se stesso, dal suo “cuore sacro”. È proprio questo lo spunto che Ferzan Ozpetek propone con il suo ultimo lavoro, raccontando il progressivo cambiamento di Irene Ravelli, prototipo della donna in carriera, divenuta da poco imprenditrice dell’anno, che finirà per spogliarsi di tutto ciò che materialmente aveva accumulato con il suo lavoro per donarlo ai bisognosi. Sulla protagonista agiscono pulsioni profonde, viscerali, che la spingono verso un richiamo sempre più forte nei confronti della madre, figura mistica di una donna caduta nel delirio religioso che, pur non essendo più in vita, continua ad aleggiare nella vita della figlia, manifestandosi ad essa attraverso la figura di Benedetta, e trascinandola così verso il suo stesso destino.
La bambina che ruba per donare ai poveri funge così da tarlo, da variabile impazzita che destabilizza e, dopo la sua morte, rivoluziona la vita di Irene portandoci ad esplorare attraverso il suo sguardo la realtà difficile di chi ha perso tutto, di chi è stato fatto “sgusciare” dal destino. Ed ecco rompersi quel guscio di convenzioni e convinzioni che fino ad allora avevano protetto Irene, facendola cadere in una follia che la spinge ad annullarsi per chi ha bisogno, cercando in questo modo, il “vascello” che l’avrebbe potuta portare alla Verità, a quella meta verso cui tutte la religioni si dirigono pur scegliendo strade diverse.

Complessi e profondi sono quindi gli spunti che la storia propone, sia sul piano psicologico, che su quello più propriamente sociale, ma sono spunti proposti dalla vicenda di Irene, non dal modo in cui essa è cinematograficamente rappresentata. Ozpetek dimostra infatti di non comprendere come, con una storia dal forte impatto emotivo come questa, non ci sia assolutamente bisogno di caricare lo spettatore di passaggi che tentano di produrre artificialmente una reazione emotiva, attraverso l’eccessiva moltiplicazione dei primissimi piani sul volto della protagonista. Se all’inizio, attraverso questa tecnica, il regista riusciva a spremere emozioni dal volto della protagonista, con il procedere della pellicola il ricorrere a questo espediente finisce per non dare più nulla, per stancare, per diventare una scelta meccanica con cui si cerca di imporre a chi guarda il dovere di commuoversi. Si cade così più volte nel patetismo, come con il carrello sul volto dei poveri, che sembra quasi trasformare il film in uno spot pro Caritas, e con l’inserto “michelangiolesco” della Pietà, usato come un altro “imperativo emotivo” inflitto allo spettatore.
Il continuo oscillare tra lucidità “manageriale” e follia altruistica della protagonista sarebbe potuto essere reso, quindi, in modo più autentico senza forzare, ma solo sfiorando il movimento “sgusciante” di Irene.

Misticismo di un fotoromanzo crittografico
Si arriva in una stanza densa di codici ed enigmi, criptata misticamente del significato universale della Religione, di tutte le Religioni in un sincretismo occulto e indecifrabile.
Ozpetek ha costruito un film che è perfettamente paragonabile a questa stanza: in questa opera confluiscono tutti i segni della sua identità e della sua poetica che abbiamo imparato a conoscere sinora – l’incontro fatale con una persona sconosciuta, i misteri della propria vita che insorgono all’improvviso, l’ambiguità delle relazioni interpersonali – e nel loro intreccio riconosciamo il suo tocco seducente e forte. Ma in questa mescolanza ci sfugge il senso, ne percepiamo graffiti confusi, dotati di un segno sfuggente quasi come se questa volta il regista turco avesse sbagliato mira e dalle migliori intenzioni di un film sulla sacralità dei nostri cuori eclissati d’io nascesse un fotoromanzo corretto che si lascia dietro uno sterile alone misterico.
Una crittografia composita su una materia grezza, che forse andava scolpita meglio (ogni riferimento a Europa ’51 – Roberto Rossellini, 1951 – di cui Cuore sacro sembra essere, a prima vista, una bieca revisione, è puramente casuale).

Curiosità
Lisa Gastoni, l’attrice che interpreta la sadica Eleonora, è ritornata sul grande schermo a distanza di ben 25 anni dal suo ultimo film, girato per l’appunto nel 1975 e intitolato Scandalo per la regia di Salvatore Samperi.

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