Piccolo “Grande Torino”
E’ possibile fare un film sul calcio e su un disastro aereo senza mai mostrare una partita e un velivolo in cielo? A questa domanda possono rispondere sì con orgoglio Vincenzo Verdecchi e i due sceneggiatori di Ora e mai più, il sorprendente film sul mito del “Grande Torino”, squadra che negli anni quaranta ha riscritto la storia del calcio, fermata solo dalla morte, avvenuta un piovoso pomeriggio del maggio 1949, con la caduta del loro aereo sulla collina di Superga alle porte di Torino.
Questo film è un piccolo gioiello, un affettuoso presente a quella che può essere considerata una delle leggende più suggestive della storia del calcio. Il “Grande Torino”, infatti, non ha nulla a che fare con la squadra che oggi, tra debiti e promesse, cerca di ritornare in serie A. Il Torino del dopoguerra è un icona, una squadra imbattibile, capace di vincere quattro scudetti di fila.
Il film, nato tra dubbi e perplessità legati alla contemporanea produzione televisiva Grande Torino di Claudio Bonivento, è risultato invece un amorevole omaggio a questo mito, con toni celebrativi alla Radio Days (id., Woody Allen, 1987) e con un gruppo di attori orchestrato in maniera sorprendente. L’unione di un comico, un attore teatrale, interpreti di fiction e icone pubblicitarie poteva far sembrare avventato e raffazzonato il casting. Invece, ai due ottimi Gioele Dix e Dino Abbrescia, si accostano la buona interpretazione di Kasia Smutniak (icona Tim e fidanzata di Taricone), nella parte di una docente di letteratura inglese, e la sontuosa partecipazione di Giorgio Albertazzi, che si muove magistralmente nello spazio filmico come nel suo più consueto palcoscenico teatrale. Albertazzi ci mostra (come aveva già fatto il meraviglioso Toni Servillo di Le conseguenze dell’amore – Paolo Sorrentino, 2004) l’importanza che il bacino attoriale di derivazione teatrale potrebbe avere per il cinema, per il quale vengono spesso preferiti attori di origine televisiva. Quest’annata, che ha fornito spunti così interessanti in tale prospettiva, speriamo possa servire ai tanti autori che spesso vedono compromesse le loro opere proprio da una recitazione mediocre.
La storia è costruita in maniera perfetta e la commistione di passato e presente viene resa in modo originale ed efficace. I trascorsi da montatore del regista hanno certamente avuto importanza in fase postproduttiva; alcune trovate infatti, come le efficaci dissolvenze in bianco, danno un tono ancora più solenne alla celebrazione del mito. Non solo la storia regge, ma conquista soprattutto per la sua semplicità e per il perfetto incastro tra le vicende raccontate. Risultano curati anche i più piccoli particolari di sceneggiatura, che permettono per esempio ad Abbrescia e al trombettiere, interpretato da Luciano Scarpa, di improvvisare intelligenti e gustose situazioni comiche.
Ora e per sempre non avrà certamente un successo globale, ma scalderà i cuori dei tifosi granata e commuoverà gli appassionati del grande calcio; e a chi come me, tifoso juventino fino al midollo, finirà al cinema a vederlo quasi per caso, sono certo lascerà un segno, perché come dice un tifoso in una sequenza del film: «Quando il tempo passa davanti al Filadelfia, prima di entrare, si toglie il cappello».
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