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Intervista a Louis Nero, regista di Pianosequenza

Louis NeroIncominciamo parlando del tuo ultimo film Pianosequenza. Per quale ragione hai cercato di utilizzare questa tecnica per un intero lungometraggio? E’ stato un esperimento legato a un’ambizione esclusivamente tecnica o volevi contribuire con l’assenza di stacchi anche al valore narrativo delle vicende raccontate?

Sicuramente il rapporto narrativo è strettamente legato a quello tecnico. Ho cercato di sviluppare, in collaborazione con Timothy Keller, un soggetto che fosse in stretto rapporto con il linguaggio che avrei usato. Inoltre l’uso del tempo dilatato diventa parte integrante degli stati d’animo e delle atmosfere.

Cosa ne pensi di lavori simili ai tuoi, che attraverso la tecnica del piano sequenza hanno basato la struttura del film, per esempio Nodo alla gola di Hitchcock (diviso in piani sequenza da 10 minuti) e Arca russa di Sokurov (un unico piano sequenza… o quasi)?

Entrambi i due registi sono interessantissimi (Hitchcock è un genio). Comunque il mio film ricerca una strada differente, cercando di privilegiare il punto di vista dello spettatore, l’unica figura onnisciente che può conoscere la storia nella sua interezza. Mentre i protagonisti rimangono relegati alla sola conoscenza della vita che stanno affrontando, senza sapere i rapporti che li legano agli altri personaggi.

I dialoghi del film sono molto articolati e le tematiche filosofiche trattate sono spesso complesse; che spettatori pensi possano comprendere e apprezzare appieno il tuo lavoro? Inoltre scrivi e dirigi film per esplorare te stesso o per comunicare te stesso al pubblico?

Io punto al pubblico che semplicemente abbia voglia di pensare e non di utilizzare il cinema come un passatempo dove perdere due ore. Ogni mio lavoro prima deve piacere a me e soddisfarmi, poi ad una parte del pubblico può piacere ed ad un’altra parte no. L’importante è non passare nell’indifferenza come gran parte del cinema contemporaneo. O ti amano o ti odiano.

Tu lavori soprattutto con attrezzature digitali. Pensi che questo supporto tecnologico si adatti di più al tuo cinema o, autoproducendoti, lo utilizzi solo per diminuire i costi di produzione?

Il digitale, secondo me, è regolato da un nuovo tipo di linguaggio. Quindi non bisogna fare film classici, utilizzando questo mezzo solo per economizzare, ma bisogna creare nuovi modelli narrativi che utilizzino il linguaggio del mezzo al massimo delle sue potenzialità.

Tu sei un autore che fa dello sperimentalismo una delle sue caratteristiche principali. Pensi che le tue opere possano avere successo all’estero più che in Italia? pensi che l’approccio al cinema nel nostro paese da questo punto di vista sia più limitato rispetto a paesi come la Francia o l’Inghilterra?

L’Italia è il luogo dove voglio produrre e vivere. Ogni luogo, a lungo andare, ha dei pregi e dei difetti, l’importante e portare avanti le proprie idee, e a lungo andare il mercato ti premia.

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