Un viaggio senza fermate
Nella scheda introduttiva del film, alla voce montaggio non c’è risposta. Questo perché Pianosequenza è uno dei pochi casi nella storia del cinema a essere stato girato interamente in una sola inquadratura, senza usare mai stacchi. Insieme a lui solo Hitchcock e Sokurov, due dei più grandi registi di sempre, hanno tentato di realizzare un’impresa simile. L’opera del giovane autore torinese Louis Nero va lodata per l’intento pretenzioso ma anche analizzata con occhio critico, scovando oltre ai pregi anche i difetti che possono caratterizzare un film di questo genere.
Lo sperimentalismo che contraddistingue l’opera, seppur lodevole per i suoi virtuosismi tecnici nel muovere la macchina da presa e per la fotografia crepuscolare costruita solo attraverso luci intradiegetiche, rischia di rovinare un gioco narrativo apparentemente esemplare, basato sul principio di causa-effetto.
Il film infatti, sostenuto da un buon ritmo nell’interessante percorso creativo di connessioni accidentali tra i vari personaggi, perde nella sua parte centrale quella tensione necessaria a mantenere alta l’attenzione del pubblico. La meditazione sull’esistenza e sul destino viene deviata su un campo narrativo inaspettato, una divagazione nell’universo giallo che spezza la trama sincopata, e si fossilizza fin troppo morbosamente su una riflessione dicotomica sesso-morte. A questo punto l’ottimo impatto iniziale svanisce e la visione diventa quasi insostenibile, dovendo concentrare l’attenzione sulle voci fuori campo dei protagonisti che citano Catullo o Feuerbach e seguire il loro vagare disperato in una anonima Torino notturna, intrisa sempre di un gotico alone misterioso.
Il regista cerca di trasmettere il senso di incomunicabilità che attanaglia le persone attraverso i pensieri dei giovani protagonisti, traghettati da un posto all’altro su una vecchia macchina d’epoca da un distinto autista di colore, testimone silente di tutti travagliati movimenti notturni dei personaggi.
Il finale, omaggio alle allegorie allucinate di Lynch e Greenaway, lascia però l’animo intriso di una quiete inaspettata, come il sole che sorge fuori dalla stanza nella quale si svolge l’epilogo della storia. Pianosequenza è un viaggio oscuro che si conclude con un barlume di luce, quasi una foce di speranza per gli animi tormentati dei fantasmi notturni mossi dalle geometrie di Nero.
Il film è stato girato interamente in High Definition e, successivamente, per permettere la proiezione su grande schermo, è stato vidigrafato su pellicola 35 mm. Autoprodotto dallo stesso regista con la sua associazione L’Altrofilm, l’opera è stata presentata quest’anno a Venezia dove ha trovato un accordo per la distribuzione.
Pianosequenza è il secondo film del regista dopo Golem (2002), che si concentrava invece sul superamento del cinema considerato come superficie unica, ponendo come base riflessiva il montaggio. Nero ora sta lavorando in postproduzione sul suo nuovo film Hans, anch’esso un forte grido di libertà visiva in nome di uno sperimentalismo sempre più limitato nel cinema italiano.
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