Il gioco dell’amore nella banlieue parigina
Nell’atto secondo, scena terza de Le jeu de l’amour et du hasard (Il gioco dell’amore e del caso) di Marivaux (1688-1763), Arlecchino così corteggia Lisetta, la quale non riesce a credere che il suo amore per lei possa essere tanto grande, tutt’al più perché appena nato:
Arlecchino: «V’ingannate, prodigio dei nostri giorni, un amore degno di voi non rimane a lungo nella culla; la vostra prima occhiata lo ha fatto nascere, la seconda gli ha dato la forza e la terza ne ha fatto un giovanotto; vediamo di accasarlo al più presto, abbiate cura di lui, visto che siete sua madre»
Lisetta: «Vi sembra che io lo maltratti, che lo lasci abbandonato?»
Arlecchino: «In attesa di provvedere, dategli almeno la vostra bianca manina, perché si diletti un po’»
Lisetta: «Prendete dunque, piccolo importuno, dal momento che, se non potete non dilettarvi, non mi lasciate in pace»
Lui, baciandole la mano: «Piccolo cuore dell’anima mia! questo mi dà gioia come un vino squisito, peccato che ce ne siano soltanto due dita»
Lisetta: «Orsù, frenatevi, siete troppo goloso»
Arlecchino: «Chiedo soltanto di sopravvivere, in attesa di poter vivere»
Lisetta: «Ed essere ragionevole non è necessario?»
Arlecchino: «Essere ragionevoli! ahimè, la ragione l’ho perduta, i vostri begli occhi sono i birboni che me l’hanno portata via».
Lisetta è impersonata dalla bella Lydia in ampio abito settecentesco, il costume colorato di Arlecchino nasconde il timido Krimo, che baratta con il suo amico Rachid la parte per dichiarare tramite i versi di Marivaux il suo amore a Lydia.
Intreccio di realtà e finzione, sovrapposizione di vita e teatro.
E come Lisetta, agitando il suo ventaglio si concede e al tempo stesso si ritrae alle attenzioni di Arlecchino, così Lydia con Krimo: alla sua confidenza d’amore e al suo desiderio di stare insieme, schiva, elude, scansa, sfugge, ritarda la risposta (e così forse più che La schivata il titolo appropriato sarebbe stato La sfuggente).
E quando, dopo mille passaparola tra le amiche e i compagni e sorprendenti equivoci, Lydia finalmente va da lui, Krimo non sente il campanello, lei aspetta e un po’ e poi se ne va…
Il regista Abdellatif Kechiche, con questo film che parla di teatro e di amore, propone un nuovo sguardo sulle periferie delle grandi città, ben diverso da quello solo di droga, rabbia, violenza e guerriglia ormai consolidato nell’immaginario collettivo.
E se c’è un momento, quello dell’aggressione da parte della polizia ai protagonisti, che ricorda molto da vicino la furia di cui era carico L’odio (La Haine, Mathieu Kassovitz, 1995), esso resta insignificante ai fini della storia, impegnata invece a srotolare intrecci di amicizie e di amori nel modo il più possibile intenso e aderente alla realtà.
E lo fa girando in luoghi autentici, servendosi di giovani attori non professionisti che, tranne il silenzioso Krimo, gettano fuori cascate di parole fin quasi rimanere senza fiato (il film meriterebbe di essere visto in lingua originale per apprezzare meglio il gergo crudo ma vero, il verlan, parlato nelle banlieues, ed evitare le forti inflessioni romane del doppiaggio), alternando l’asprezza di questo linguaggio all’eleganza dei versi di Marivaux e con l’uso sapiente della macchina da presa, che calibra vivaci momenti corali ed efficaci primissimi piani del volto e degli occhi dell’abilissimo Osman Elkharraz (Krimo).
Curiosità
L’esquive, presentato in concorso al Torino Film Festival 2004, è il secondo film del regista tunisino Abdellatif Kechiche, cresciuto a Nizza e attore per André Téchiné.
Con il suo debutto alla regia per Tutta colpa di Voltaire (La faute à Voltaire, 2000) ha vinto, tra gli altri numerosi premi a vari festival, il Leone d’oro per l’opera prima e premio della gioventù alla Mostra di Venezia 2000.
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