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Pieni e vuoti

Pieni e vuoti

Gli oggetti soffocano l’appartamento già angusto di Marco e Silvia, i videogiochi e i piatti sporchi colmano lo spazio fisico, ma non la solitudine. Immobile fino alla corsa finale, Marco è schiacciato dal vuoto dei sentimenti e dal pieno degli oggetti che lascia accumularsi intorno a sé. Anche circondato da centinaia di pulcini resta fondamentalmente solo.
Allo stesso modo Provincia meccanica è un film spaccato in una piena riuscita figurativa e in una carenza di narrazione. Angosce e felicità arrivano dritte allo spettatore, grazie anche a un Accorsi che è riuscito a svestire l’abito del trentenne innamorato e affetto da sindrome di Peter Pan. Non si può non ammirare la regia rigorosa di Mordini, dove ogni inquadratura è necessaria, pensata e soppesata. Non ci sono movimenti di macchina gratuiti né una fotografia appagante ed estetizzante. Camera a mano e un montaggio sobrio lasciano trapelare un’urgenza del racconto e dei sentimenti genuini.

Proprio la necessità del racconto è l’attenuante più valida di fronte a un film non pienamente riuscito: rispetto a un congegno narrativo perfetto ma privo di urgenza e imbellettato grazie alla disponibilità di mezzi tecnici, la freschezza di questo racconto non può che essere apprezzata. A questo si possono aggiungere le altre attenuanti del caso: che si tratta del film di un esordiente, che in Italia si vede di peggio, che ci sono delle buone intuizioni visive. Ma non si può frenare la delusione dopo una prima mezz’ora ricca di promesse per un ottimo film, che si suicida di lì a poco raccontando una storia che si regge su una sequenza di avvenimenti l’uno più improbabile dell’altro.

Il primo motore della storia, forse anche il più emozionante, l’affido di Sonia, si perde per poi ricomparire a tre quarti del film, lasciando spazio a una catena di eventi che, talvolta, cadono anche nel ridicolo: il momento più imbarazzante è la scoperta da parte di Marco del figlio illegittimo. E anche il finale, fortunatamente non stucchevole, si regge su una metafora scontata. La sensazione all’uscita della sala, dopo un inizio tanto promettente, è di sincero disappunto. Ora aspetto con curiosità il verdetto della giuria e del pubblico di Berlino, dove Provincia meccanica è l’unico lungometraggio italiano in concorso.

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