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Danze letali

Danze letali

Le origini del personaggio
Creata negli anni 80 per la Marvel Comics dalla fervida matita di quel geniaccio di Frank Miller, Elektra Natchios, di chiara origine greca, è una spietata assassina mercenaria. Un classico esempio di eroina negativa, al tempo affatto comune, che però sin dalle prime apparizioni sulle tavole a fumetti di Daredevil si affermò presso i lettori per un intrigante caratterizzazione noir, accentuata dal contrasto di un personaggio sexy, ma ferrato in diverse arti marziali e nell’uso dei sais, dei micidiali pugnali a tridente. Uno stilema, adesso chiaramente riscontrabile in molte protagoniste di cartoni e fumetti giapponesi, ma che allora risultava assolutamente inedito e spiazzante per la cultura americana e occidentale in genere. Anche oggi, comunque, non è facile aderire al modello proposto da Elektra, alla sua psiche distorta e omicida. Se non percorrendo la strada propostaci originariamente da Miller: immergendoci nel tragico vissuto dell’eroina. Testimone bambina dell’assassinio della madre e rivolta alla vendetta tout court per una coazione a ripetere che inanella omicidio su omicidio per liberarsi, forse, un giorno, da quel terribile trauma scatenante. Una logica da gialli alla Mickey Spillane, amatissimi da Miller, che si appiccica ai personaggi come un marchio indelebile, ma che in fondo tutti noi speriamo si cancelli per inesplicabili motivi, anche se questo non si verifica mai e comunque non in modo permanente.

Il lutto si addice ad Elektra…
D’altro canto, l’impossibile totale redenzione di Elektra l’avevamo già verificata nel Daredevil di Mark Steven Johnson del 2003, con Jennifer Garner già compresa in una parte che le si attagliava a pennello: sensuale e maledetta al tempo stesso. Con un dramma interiore molto simile al nichilismo descritto da Eugene O’Neill nel dramma Il lutto si addice ad Elettra, dal quale, forse, Miller colse certe atmosfere e un senso di ineluttabilità dell’evento drammatico insito nel destino di alcuni personaggi. Nella pur piccola apparizione del film di Johnson, Elektra aveva rubato la scena nientemeno che a Ben Affleck (che interpretava Daredevil), facendo intendere, da subito, che una tale performance non sarebbe rimasta isolata. E in effetti ora veniamo a sapere che quella fu una sorta di prova generale, in cui la protagonista della serie televisiva Alias doveva mostrare il suo talento nel bucare dopo il piccolo anche il grande schermo. Esame superato a pieni voti, che ora trova il suo logico approdo nel monografico Elektra di Rob Bowman. Sì, proprio il Rob Bowman della celebre versione cinematografica di X-Files. Che in questo caso, però, non raggiunge il climax narrativo veicolato in quella pellicola per uno script non all’altezza della situazione. Difatti, gli sceneggiatori di Elektra, Zak Penn, Stuart Zicherman e Raven Metzener, hanno pensato di risolvere un action movie con risvolti psicologici legati alla protagonista dividendo letteralmente in due la struttura del film. Soluzione illusoria. Che vede una prima parte della pellicola, dilatata e verbosa, occupata dai cupi ricordi di Elektra, e una secondo tempo affidato solo all’azione e agli effetti speciali. Per rimediare ad uno script così scelleratamente draconiano, Bowman ha cercato di lavorare su degli azzeccati e ripetuti flashback, con un montaggio serrato che tentasse di “incollare” percezioni remote e azioni presenti. Ma il risultato è solo un ibrido che non allinea in modo convincente la causa all’effetto, con un confuso collage di reminiscenze dal quale non si vede l’ora di uscire per assistere a degli annunciati duelli spettacolari.

Arti marziali e artifici visivi
Duelli che sono la parte migliore del film, sia dal punto di vista acrobatico che per gli effetti visivi che li accompagnano. Jennifer Garner, in questi casi, sfoggia una preparazione atletica davvero fuori dal comune. Il che ha permesso a Bowman di utilizzare l’attrice in larga parte per delle scene dal vero. Fattore ultimamente molto apprezzato dai giovani spettatori che, stufi dell’indigestione da effetti speciali, ora preferiscono vagliare l’effettiva abilità fisica degli attori in luogo delle controfigure e delle sole azioni virtuali realizzate al computer. Da questo punto di vista, la Garner, per aderire maggiormente al personaggio di Elektra, si è sottoposta per mesi a duri allenamenti di varie arti marziali. Così, in un medesimo duello, nel film la vedremo affrontare gli avversari con mosse di Shodukan, Wu Shu, Boxe e Bo Stick. Il tutto, visivamente, si traduce in “danze acrobatiche” molto elaborate, che solo sporadicamente ammettono l’ausilio dell’effetto speciale. Effetti visivi che invece trovano largo uso per i personaggi della squadra ninja della Mano. Degli elementi poco raccomandabili, che devono i loro poteri alla magia nera, tra i quali spiccano Tattoo, Typhoid, Stone e Kinkou, contro i quali Elektra dovrà scontrarsi mortalmente verso il finale della storia. L’avversario più spettacolare tra questi è sicuramente Tattoo, il quale, tramite un potere sovrannaturale, riesce a materializzare gli animali tatuati sulla pelle, facendoli letteralmente scaturire dal proprio corpo. Gli effetti speciali legati a tali trasformazioni sono davvero impeccabili e suggestivi, ma dal punto di vista narrativo la gang della Mano risulta soltanto una pattuglia di “super-boss” finali tipici dei più scontati videogames. Un prodotto da ragazzificio, insomma. Un tanto al chilo per trangugiatori dal palato davvero poco raffinato. Ma esistono ancora ragazzi così superficiali? Forse una nicchia, col resto ammassato solo nell’immaginario di alcuni sceneggiatori.

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