Buone visioni alla luce del sole
Le prime immagini ci riportano a pochi attimi prima della morte di don Puglisi, quando i suoi assassini inscenano una rapina per poi sparargli Alla luce del sole. Così inizia e finisce il film. La storia è tristemente vera e potrebbe risuonare drammatica, ma Roberto Faenza è bravo perché riesce a ricostruire l’esistenza di un uomo, partendo dalla sua morte, senza fare del suo racconto un dramma. Con sensibilità scrive una testimonianza cinematografica che coinvolge, e va oltre il razionale film d’inchiesta o di diagnosi sociale, che alcuni maestri del cinema italiano avevano già realizzato nel passato. Se «il compito di un artista è – come sostiene lo stesso regista – portare a una vasta platea la parola di un uomo che è riuscito a parlare a pochi», il film, lontano dall’essere una semplice ricostruzione bibliografica, rende omaggio alla vita del prete. Dà a posteriori un contributo all’opera che ha avuto solo il tempo di iniziare.
Il cinema investe in quella che potrebbe essere la sua stessa missione. In questa maniera riveste un ruolo attivo, socialmente impegnato nel preservare dall’oblio e diffondere un messaggio. A evidenziarlo basta una scena come quella in cui don Puglisi, ben interpretato da Luca Zingaretti, si rivolge ad un pastore, suo superiore, per cercare sostegno nella Chiesa. Spera di riuscire ad aiutare Brancaccio a uscire dal degrado sociale, in cui la mafia cresce in cattività i suoi bambini come nuove leve. Sogna di coltivare in questo fertile humus una realtà che garantisca un domani a dei ragazzini che non hanno scelto di essere nati e cresciuti in un posto che non lascia loro molte scelte. Lui vorrebbe nel suo piccolo «aiutare le persone per bene di questo quartiere a poter camminare a testa alta». Per tutta risposta si sente dire: «ah…è venuto qui a parlarmi dei suoi sogni?» e a voce bassa è costretto a sussurrare sottotono: «no, anche se sono i sogni che colorano il mondo!». Il messaggio è rinchiuso in questo breve scambio di battute, la sua ambiziosa ma umile missione è celata dal malinconico ottimismo del prete, che nutre speranze per il futuro. Il film, attraverso don Puglisi, sembra voler ricordare che per provare a cambiare le cose non basta sognare, ma bisogna innanzitutto capire questi sogni, e crederci. Lui lo fa e per questo muore. Roberto Faenza invece su queste vicende costruisce un film. Riesce a regalare allo spettatore forti e profonde emozioni, che non durano solo il tempo della visione. Una volta uscito dalla sala lo fa riflettere. Davanti agli occhi gli sguardi di quei ragazzini di Palermo, ancora gli provocano un amaro groppo in gola. Solo allora pensa che i veri protagonisti della storia siano proprio loro e capisce il senso, oltre che il valore della morte di un uomo, forse quasi dimenticato.
Il linguaggio adottato è semplice ed efficace. Reale come i suoi piccoli personaggi di Brancaccio. Vero come il dialetto in cui si esprimono, o come quelle frasi imparate dai padri o dai padrini che, messe in bocca a dei bambini, riescono a farci ridere anche più di una volta. L’ironia di queste frasi rimbomba nelle orecchie per poi risuonare alla mente come espressione di una triste verità. Riflette la stessa violenta omertà a cui sin da piccoli sono abituati. La stessa dura realtà quotidiana in cui sono inestricabilmente invischiati e a cui in un certo senso sono condannati anche dopo, a film terminato.
Il modo in cui il film prova a comunicare al suo pubblico è schietto e diretto come il parlare e l’agire del prete. Emoziona ma fa male perché punta a penetrare la complessità della realtà in cui viviamo colpendo dritto ai sentimenti. Ce la restituisce così com’è attraverso un racconto denso, che parla di un uomo che è stato ucciso perché voleva insegnare a dei bambini a pensare con la propria testa, senza aver paura di dire la propria opinione. Un martire beatificato dalla Chiesa, forse più un esempio che un eroe dei nostri giorni. Un esemplare raro di cinema impegnato dei nostri tempi, che merita di essere valorizzato. Un film ben fatto che lasciandosi piacevolmente guardare mostra una valenza quasi catartica.
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