Chi era Ray Charles?
Profumo di Southern Comfort e musica Soul.
Nasce da questi presupposti l’ultimo lavoro di Hackford, la biografia di Ray Charles Robinson, uno dei re della musica black americana. Parte infatti dalle radici della musica blues e dal potere visivo delle assolate giornate del Sud degli Stati Uniti, la retrospettiva del regista di Ufficiale gentiluomo (An Officer and a Gentleman, 1981) sul cantante scomparso il dieci giugno dello scorso anno.
Nato in una cittadina di afro-americani in Florida, Ray Charles divenne cieco all’età di sette anni per un glaucoma incurabile. Grazie all’aiuto della madre riuscì a superare le difficoltà, sviluppando il grande talento musicale che gli ha permesso di rivoluzionare la musica americana, mischiando generi come il gospel all’r’n’b ed il soul al jazz e la musica country.
Secondo alcune fonti la pellicola avrebbe avuto l’approvazione del protagonista in persona, il quale, avuta una copia in brail della sceneggiatura, l’avrebbe letta prima di consentire l’inizio delle riprese. Certamente stupirà chi non conosce il personaggio lo scoprire quale passato abbia vissuto il cantante sulla cui vita si concentra la narrazione della pellicola, una storia fatta di grandi traumi e di abuso di eroina, e soprattutto di tante, tantissime donne.
E’ questo infatti l’obiettivo del film: riuscire a raccontare un uomo diventato un’icona per molti neri d’America, partendo dalle sue debolezze e dai demoni cha hanno cercato, a più riprese, di distruggerne la vita. Per fare questo, il regista si affida alla musica, vera dominatrice del ritmo narrativo della pellicola. La musica fa scaturire le immagini e le immagini la musica, in un ballo simile a quello di chi prendeva parte ai concerti del grande Ray.
Tecnicamente il film si fa apprezzare per il montaggio che alterna, al girato, immagini di repertorio dell’America degli anni sessanta, periodo in cui si concentra la maggior parte della pellicola di Hackford. Pregevoli inoltre gli inserti di graphics che scandiscono la scalata di Charles alla fama mondiale, ma soprattutto l’effetto dei tagli vintage che separano i flash back dalla trama del racconto. Bravissimo anche Jamie Foxx, il Max di Collateral (id., Michael Mann, 2004), consacrato definitivamente da questa interpretazione a contendere lo scettro di migliore attore, tra i coloured di Hollywood, a Morgan Freeman e Denzel Washington.
A cura di Roberto Monzani
in sala ::