Il bambino nel cinema horror/thriller
All’interno del genere cinematografico horror/thriller è possibile individuare una tendenza che ha spesso portato a identificare il bambino, grazie a particolari poteri o speciali facoltà, come porta verso un altrove, una dimensione preclusa agli adulti, che gli permette di percepire (più che sapere) cose che questi ultimi non possono. Partendo da Birth, l’ultimo film di Jonathan Glazer con Nicole Kidman, che in realtà è un dramma psicologico più che un film horror/thriller, vediamo come il protagonista infantile sia portatore di una verità, o presunta tale, a cui nessuno vuole credere: si presenta come la re-incarnazione di un uomo morto anni prima per impedire alla donna che era stata sua moglie di risposarsi.
Andando a ritroso nel tempo, sono tre le piccole in cui questa tendenza sembra essere maggiormente evidenziata: Shining (The Shining, Stanley Kubrick, Usa, 1980), Il sesto senso (The Sixth Sense, Night M. Shyamalan, Usa, 1999) e The Ring (id., Gore Verbinski, Usa, 2002).
In questi film ci troviamo di fronte a figure di bambini che, con la capacità di accettare ogni stimolo del mondo esterno senza sottoporlo al vaglio della ragione e all’esame di una fredda razionalità, possono arrivare ad entrare in contatto con un’altra dimensione, ignota e non spiegabile con i soli sensi che l’uomo possiede.
La figura del bambino, con la sua naturale innocenza, incarna alla perfezione uno sguardo capace di oltrepassare i limiti della realtà sensibile per rivelare l’esistenza di un mondo parallelo, di una dimensione altra, ultrasensibile.
E’ proprio questo quello a cui ci mettono di fronte i bambini: una realtà diversa da quella a cui siamo abituati, una versione dei fatti che non nasce secondo la logica comune ma secondo criteri dettati dalla percezione, dalla visione di qualcosa che solo a loro è concesso. Il bambino costringe l’adulto ad abbandonare le sue convinzioni, a rivedere completamente le coordinate con le quali aveva definito il suo modo di rapportarsi con il mondo. Ma non tutti sono
disposti a compiere questo passo.
Dietro a tutto questo possiamo vedere come lo “sforzo” che i più piccoli chiedono di compiere agli adulti in questi film è lo stesso che in un certo senso ci chiede di compiere il cinema stesso: abbandonare per un certo lasso di tempo le nostre convinzioni e credere a delle immagini che si muovono su uno schermo, ovvero, abbandonare le proprie convinzioni per osservare il mondo attraverso gli occhi di qualcun altro. Un’esperienza che vale la pena essere vissuta e un’occasione da non sprecare, basta crederci.
• Filmografia consigliata
Shining
Straordinaria l’interpretazione del piccolo Danny Lloyd nei panni del figlio di Jack Torrance/Jack Nicholson. Il bimbo ha bisogno di raffigurare in qualche modo il contatto con l’aldilà consentitogli dai suoi poteri, e allora lo vediamo di fronte ad uno specchio che muove il suo dito medio e chiama “Tony” l’amico con cui conversa. La madre pensa che sia solo un amico immaginario, ma Tony in verità è lo spirito di un altro bambino morto tempo prima nell’Overlook Hotel, il luogo verso il quale la famiglia Torrance si sta recando. Il piccolo sa già tutto, ed è per questo che non vuole partire. Ma nessuno lo ascolta, nessuno dà importanza alle sue parole, perché in fondo è solo un bambino che usa molto la fantasia. Sarà proprio lui, alla fine, a risolvere la situazione.
Il sesto senso
Haley Joel Osment (protagonista anche di A.I. di Spielberg), candidato all’Oscar come attore non protagonista, veste i panni di un bimbo in grado di vedere cose orribili: gli spiriti delle persone uccise ingiustamente che gli appaiono per chiedere giustizia. Il titolo rievoca proprio la capacità del piccolo protagonista di andare oltre ai soli cinque sensi che l’uomo possiede: è lui il tramite che permette allo spettatore di vedere il defunto (a sua insaputa) Bruce Willis. In questo caso, quindi, Shyamalan, con un geniale inganno tipico del suo cinema, ci rende partecipi (a nostra insaputa) del doloroso punto di vista del piccolo Haley Joel Osmet.
The Ring
Un bambino fuori dal comune, quasi un adulto in un corpo infantile, proprio come in Birth. Anch’egli ha bisogno di raffigurare in qualche modo le sue visioni e le sue percezioni, in questo caso attraverso il disegno. Scopriamo proprio attraverso i suoi schizzi che egli sapeva già tutto in precedenza. La figura del bambino non è però centrale all’interno della narrazione, rappresenta piuttosto un contraltare al mondo adulto: l’irrazionalità di fronte a qualcosa di sovrannaturale rispetto all’approccio razionale – da inchiesta giornalistica – della madre.
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