American History a tempo di Jazz
La storia, la vicenda che sottende New Thing, è semplice. Un giallo ambientato nel mondo del jazz americano, un noir vecchio stile che alle atmosfere di Chandler sovrappone alcuni acuti alla Ellroy. Wu Ming 1 narra la storia di un serial killer che, negli anni Sessanta, si era accanito contro i profeti della New Thing, la nuova corrente del Jazz, un’avanguardia musicale che sovverte le regole classiche dell’armonia cercando nuove sonorità che esulano dal pentagramma. Sono anni rivoluzionari in America, gli anni di Kennedy e dei diritti civili, ma, soprattutto, gli anni delle conversioni al maomettismo e del Black Power nella comunità nera. Sonia Langmut, una critica musicale, comincia a indagare per conto suo. È armata di un Butoba MT5, un registratore magnetico di fabbricazione tedesca, con il quale registra qualsiasi cosa succeda intorno a lei. Per le sue ricerche assolda una task force di musicisti Jazz, ma soprattutto si serve del potere preveggente di un musicista particolare, John Coltrane, che lotta da anni con i postumi di una tossicodipendenza. Dietro questa vicenda si apre un universo di politica e complotti che ha caratterizzato la storia degli USA in quegli anni.
Se la trama segue un’evoluzione classica è il modo di raccontarla che invece spicca per innovazione. Lo stesso Wu Ming 1 dichiara, nei “titoli di coda”, che per la stesura del testo si è ispirato al New Giornalism, corrente nata negli anni Sessanta, secondo la quale il giornalista doveva essere il più assente possibile nella sua inchiesta. Era tenuto solo a montare le testimonianze raccolte così da creare una narrazione. In questo modo il giornalista diventa de facto un “regista” che tratta il suo operato secondo le modalità di un documentario video.
Il romanzo di Wu Ming 1 dovrebbe essere quindi una forma di docudrama su carta stampata. Ma l’autore non si ferma a questo e va oltre. Le voci che vanno a formare questo racconto sono polifoniche. Inizialmente sembra che si muovano scompostamente, per conto loro. Seguono però una ritmica precisa, quella di Sonia Langmut, che al di là dal proporre degli a solo continua a delineare un’armonia discreta che si pone al di sotto delle altre voci. Da queste si staccano a volte voci soliste, che delineano nuove tracce che la polifonia segue. Gli a solo più importanti sono quelli di John Coltrane, che parla con la sua voce veggente lungo tutto il romanzo. In questa visione lo scrittore non si pone più come un regista, ma come un direttore che deve cercare di dirigere un’orchestra che segue la sua ispirazione, quindi ingestibile. Il direttore di un’orchestra Jazz appunto. Un libro sul Jazz, scritto con il linguaggio e la ritmica di questa musica, una metafora forte che, pur risultando spaesante in principio, riesce molto piacevole nel finale, quando il lettore comincia a comprendere il gioco ritmico e lo segue lungo tutte le sue tracce. Tracce che si ricongiungono poi per ricomporre il gran finale.
L’unica voce che poco si lega a questa lettura è la documentazione riportata attraverso i giornali stampati: anche se, forse, rappresentano la metafora della partitura del testo, risultano un po’ fuori canone. Queste parti aiutano comunque nella comprensione del romanzo, come la partitura può farlo nella comprensione della musica. E poi si sa, i Wu Ming amano troppo la narrazione di Ellroy, per non citarla almeno un po’.
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