Maschere e rose
Il Fantasma dell’opera, l’ultima pellicola “partorita” dal regista Joel Schumacher, ripropone in chiave cinematografica uno dei più famosi musical di Andrew Lloyd Webber, ispirato a un romanzo noir scritto nel 1911 da Easton Leroux.
Si ritorna a parlare d’amore, l’amore torbido e sensuale che lega i tre protagonisti del film: Christine (Emmy Rossum), una giovane ballerina e cantante dell’ Opera di Parigi, il Visconte Raoul (Patrick Wilson) e il Fantasma dell’Opera (Gerard Buttler).
I personaggi comunicano solo attraverso il canto, restando intrappolati in un mondo che oscilla tra il fiabesco – numerose sono le citazioni ai classici Disneyiani come la Bella e la Bestia (Beauty and the Beast, Gary Trousdale e Kirk Wise, 1991), da cui l’opera riprende aspetti della trama, la caratterizzazione degli attanti e alcuni elementi della messa in scena, come la sequenza che vede Christine e il Fantasma percorrere una galleria illuminata da torce rette da braccia vive – e il postmoderno, con le coreografie tipicamente hollywoodiane.
Schumacher non racconta solamente l’aspetto romantico e adolescenziale dell’amore, quello vissuto dalla giovane cantante e da Raoul, svelato al mondo e a noi spettatori sopra i tetti del teatro dell’Opera, fatto di sguardi caldi, desiderio dei corpi, promesse scambiate. Enfatizza anche il lato oscuro di questo nobile sentimento: la gelosia, la follia, la momentanea cecità che oscura il genio del Fantasma, un uomo acuto ed eclettico ma sfigurato, e quindi condannato alla diversità e alla solitudine, in un’epoca, quella della Parigi di fine ottocento, in cui per sopravvivere era necessario imbellettarsi e piacere.
Ecco scontrarsi i due mondi. Ecco nascere il dramma. Da una parte il regno delle tenebre, dominio assoluto del “Padrone del Teatro”, fatto di scale vorticose, sotterranei umidi, animali ripugnanti, vicoli malsani, tutte estensioni dell’interiorità dell’Angelo della musica, concretizzazioni del suo essere figlio dell’oscurità, obbligato alla reclusione per non offendere il mondo con le proprie deformità. Dall’altra parte il mondo fiabesco dalla superficie liscia e attraente del teatro, popolato da prime donne e ballerine strizzate nei corpini dei costumi di scena, che ondeggiano nei saloni luminosi come spighe al sole, scendono le imponenti scalinate lucide e levigate e si muovono in spazi (forse troppo) appesantiti da stoffe preziose e colate d’oro.
Il Fantasma è mosso dall’amore, la sua voglia di amore lo spinge fuori dall’abisso, lo riporta alla luce, ma la consapevolezza che questo amore può solo essere sfiorato innesca in lui un impeto sterminatore che lo costringe a distruggere il mondo piuttosto che sentirsi ancora una volta tradito e abbandonato.
Questo è il Fantasma dell’opera. Il dramma della gelosia, un triangolo pericoloso, inseguimenti, combattimenti, pietà, baci e soprattutto sacrifici, come spiega il regista: «I tre personaggi alla fine del film fanno tutti un sacrificio: il personaggio di Raoul si sacrifica per salvare la vita di Christine. La giovane camminando sull’acqua e baciando il Fantasma gli dice: “Sono disposta a restare con te a condizione che tu lasci libero il mio amato”. E il secondo bacio, quello della conferma, fa capire al fantasma: “Sono davvero pronta a fare questa cosa per te a patto che tu faccia l’altra per me”. E il fantasma rimane talmente commosso dal coraggio, dalla passione, dalla volontà di questa donna, che alla fine decide lui di fare l’ultimo sacrificio e così li lascia andare».
Il Fantasma dell’opera è un film estremamente interessante per la sua fedeltà al musical di Andrew Lloyd Webber, ne clona l’andamento, lasciando però alla macchina da presa la possibilità di proiettare lo spettatore, attraverso agilissimi movimenti, nelle altezze del teatro e negli spazi più remoti.
E’ un film spettacolare per quanto riguarda i costumi e la scenografia che restituiscono al pubblico atmosfere gotiche e romantiche, ma è fortemente segnato da un difetto che, in molte occasioni, disturba la visione: il doppiaggio integrale in italiano dell’opera privo di sottotitoli. Non possiamo non soffrire le difficoltà di sincronizzazione fra labbra e suoni.
Una decisione lucida e coscientemente suicida dal punto di vista artistico, che inficia il risultato finale del film. Un film per patiti del genere. Si parla pochissimo, si balla e si canta in continuazione: un film lungo che mette a dura prova, ma che dal punto di vista puramente tecnico-narrativo rivela certamente la presenza di un grande direttore d’orchestra.
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