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L’America, il bianco e il nero

L’America, il bianco e il nero

Photo by Beth Gwinn
Quando negli Usa è uscito The Fortress of Solitude, Jonathan Lethem era già, insieme a Dave Eggers e a David Forster Wallace, ufficialmente riconosciuto come la punta di diamante della nuova letteratura americana. Eppure è con questo libro che viene proclamato dai quotidiani “il poeta di Brooklyn”. In Italia l’avevano già portato, anni fa, il coraggio e la lungimiranza dell’editore Tropea, che aveva pubblicato Testadipazzo e Concerto per archi e canguro, brillanti ibridi di noir, pop culture, fantascienza e tematiche esistenziali.

Il salto di qualità che Lethem compie con questo romanzo è evidente: la storia dei due amici, Dylan e Mingus, è semplicemente il pretesto che permette all’autore di mettere in prosa le tensioni e le problematiche dell’America – e, conseguentemente, di tutto il mondo occidentale- degli ultimi trent’anni. Il conflitto razziale, l’inurbamento sregolato e la convivenza di gruppi etnici diversi tra loro, il crack e la cocaina, il graffitismo e le estetiche figlie della pop art, il rap e il punk, la biancheria intima Calvin Klein. Correnti, movimenti, avanguardie e ribellioni che superficialmente vengono percepite come fenomeni di costume e che, invece, in un periodo in cui le strutture di lunga durata non esistono più, sono solamente le autentiche tracce di storia che servono a capire e a interpretare. Più che poeta, Lethem è il cantastorie di Brooklyn: scrive sfiorando l’epica, con la consapevolezza di mettere in scena le ragioni storiche di un paese intero, ma riuscendo insieme a cesellare con raffinatezza le sfumature di tutti gli episodi della vita di Dylan e Mingus, prestando sempre la massima attenzione al dettaglio, sia esso paesaggistico, emotivo, linguistico.

C’è un tono – sottile – di accanimento apologetico nel modo in cui l’America viene dipinta in questi suoi ultimi, cruciali, trent’anni. Come se, attraverso il racconto, il cantastorie volesse far riflettere il proprio uditorio sulla ricchezza e sulla complessità di un paese che sembra ostinatamente tentare di dimenticare se stesso, e di seppellire la propria poesia e delicatezza.

Vulnerabilità e potenzialità dimenticate dell’american way of life sono esibite e rimeditate, gli scheletri sono levati dagli armadi e offerti in pasto al lettore per invitarlo a riflettere su un’identità collettiva troppo spesso banalizzata e misconosciuta. C’è un paese che è molto più di quello che è diventato: Lethem lo sa e, come ogni autentico poeta, cerca, attraverso un plot attraente e accattivante, di comunicare a quanti più lettori possibili una verità scomoda e trascurata.

Jonathan Lethem è nato a New York nel 1964. È autore di racconti (L’inferno comincia nel giardino, minimum fax 2001) e saggi pubblicati in esclusiva mondiale per minimum fax in A ovest dell’inferno (2002). Tra i romanzi ricordiamo: Motherless Brooklyn (Testadipazzo, Marco Tropea editore 2001), Gun with occasional music (Concerto per archi e canguro, Marco Tropea editore 2002) e Amnesia Moon (minimum fax 2003). In America è stato recentemente premiato con il National Book Critics Circle Award.

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