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I nuovi colori di Giovanna, oltre l’Italia

Dalla conferenza stampa

Giovanna, sei stata protagonista in precedenza di film in cui avevi dei ruoli drammatici. In questo caso ti sei confrontata con una commedia. Come ti sei trovata? E che differenza trovi tra la commedia italiana e quella francese?

Direi che mi sono trovata molto bene. È stato divertente, è stato come un debutto.
Il nuovo, ciò che è diverso dal solito, mi ha sempre interessato. Sulla differenza tra commedie, io credo che quella francese sia un po’ più raffinata. Quella italiana si basa maggiormente sulla goliardia, sul sesso, mentre in Francia c’è uno humour un po’ più cerebrale, più sfumato.

Questa sua prima interpretazione in un film francese può essere vista come una fuga dall’Italia. Quali sono i problemi del cinema nel nostro paese?

Non è stata assolutamente una fuga. Ho recitato un film in Francia solo perché me l’hanno proposto. Se l’avessero prodotto qui, sarei rimasta. Purtroppo le commedie che mi hanno proposto in Italia non mi sono piaciute e quindi mi è sembrata un’occasione da non perdere.
Sui problemi nel cinema nostrano, direi che il nostro paese è afflitto da una generale scarsezza cinematografica, alludo alla scarsa produzione di film – gli attori che lavorano veramente alla fine sono dieci e sono sempre gli stessi – ormai i produttori sono due come pure le case di distribuzione. È tutto poco, tutto piccolo – tutto troppo e stretto – il cerchio si restringe pericolosamente e sempre di più. Io non intendo lamentarmi, ma sicuramente ci sono tanti eccezionali attori, come anche autori, che non lavorano mai e, quindi, in questo senso la Francia è un paese più realista – ha diversi generi – ogni film ha il suo pubblico. Parigi è davvero la capitale del cinema europeo con una moltitudine di sale cinematografiche sempre piene e questo mi sembra che faccia la differenza.

Questa è stata anche la sua prima interpretazione un po’ più sexy. Com’è stato recitare questo ruolo?

Questo mio aspetto sexy ha creato uno scalpore strano, che non mi sarei aspettata.
Se non ho girato in passato scene come quelle del film, non è stato perché mi sono opposta, ma perché non mi è mai stato proposto. È una scena bella, sensuale, per niente volgare e mi fidavo molto della regista; è una scena forte, in cui quel momento amoroso, bello e particolare all’interno del film, era necessario proprio perché si distacca un po’ dal film stesso.

A tu per tu con Giovanna Mezzogiorno

Giovanna ho trovato molto interessante la scelta di questo titolo Il club delle promesse, particolare proprio perché si distacca da quello originale (che tradotto significa Aiuto, ho trent’anni!). Qual è secondo te il significato profondo della promessa fatta nel film, di questo lungimirante patto d’amicizia, e, quindi, di cosa può diventare effettivamente metafora il titolo preso in considerazione?

Io sinceramente credo che l’amicizia sia davvero importantissima, sullo stesso piano dell’amore. E quindi direi in un certo qual modo che Il club delle promesse – questa promessa fatta dai tre protagonisti sin da piccoli di rimanere sempre uniti, di aiutarsi in qualsiasi momento e di non abbandonarsi mai nel momento del bisogno – si fa espressione della straordinarietà del sentimento dell’amicizia, di come sia radicato e della sua irremovibilità, che si oppone invece alla fragilità sempre percepita ed evidente dell’amore.

Ritornando sulla trama è interessante sottolineare come nel film il suo personaggio di Kathy si trovi ad affrontare una situazione familiare davvero scomoda, con un padre scappato via ed una madre disadattata e immatura (si veda la scena della conversazione al telefono). Non crede che questo fattore, unito alla collocazione naturale e selvaggia di Kathy, la sperduta isola bretone “paradiso dei bambini, inferno degli adolescenti” abbia poi delle pesanti ricadute su quella che è l’incapacità di agire della donna?

Lo credo enormemente: è ovvio che tutto questo è un background necessario per la natura del personaggio. Infatti, è proprio in quell’isola – come sottolinea la voce off di Yann all’inizio – che si sviluppa l’androfobia di Kathy e, di certo, anche l’abbandono del padre – a cui tu accennavi – non le è per nulla d’aiuto in questo senso. D’altronde, poi, è sempre vero che ognuno di noi è soprattutto frutto di quello che è avvenuto nella sua infanzia.
Per quanto riguarda la loro provenienza dall’isola – la scelta della Bretagna è particolarmente significativa: è infatti una terra fantastica, ma anche un po’ angosciante, sferzata dai venti in inverno e quasi del tutto deserta. Insomma capisco perché questi tre personaggi abbiano deciso di fuggire.

Nel film c’è una scena molto singolare in cui il tuo personaggio assiste insieme al suo spasimante Romain ad un incontro di pugilato. Non trovi che quest’immagine sia particolarmente vicina proprio all’idea di amore che traspare nel film – visto soprattutto come un’immaginaria “lotta”, non in senso fisico, ma in senso ideale che è poi destinata a concludersi in un sensuale e positivo corpo a corpo, non lontano da quello che può avvenire tra due boxeurs su un ring?

Ma sicuramente! L’amore è un po’ un gioco forza e finché non si crea l’armonia della coppia, un’osmosi, è chiaro che si combatte sempre. Forse il paragone è un po’ eccessivo anche se effettivamente in una relazione questo scappare e rincorrersi – questo cercare di evitare delle cose e mostrarsi meglio di quello che si è – rientra in un’ipotetica strategia di “lotta” che poi, però, secondo me, è destinata a concludersi quando due persone finalmente decidono di stare insieme.
Credo sia a quel punto che finalmente ci si possa togliere i guantoni.

• Recensione del film Il club delle promesse

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