Giovani, carini e disadattati
Raccontare una storia di sentimenti nel presente, tra nuove figure lavorative e il ribaltamento dei ruoli uomo-donna, attraverso i toni della commedia: questo è l’intento dichiarato dal regista. Peccato che il risultato sia in salsa eccessivamente nostrana: il narrare solo storie minime e superficiali di ragazzi che si arrangiano per sopravvivere, finché troveranno “l’ammmore” e tutto si sistemerà. Con la scusa che sono tempi cupi ed è meglio regalare un sorriso – l’unico, ottimo, tentativo recente di conciliare pensiero e commedia è il caustico Volevo solo dormirle addosso (Eugenio Cappuccio, 2004) – manca una vera e propria riflessione sull’attualità. Ma dal momento che la situazione del nostro cinema è questa, che ci piaccia o no, tanto vale analizzare questo film alla luce di quello che è e non di ciò che avrebbe potuto essere.
I personaggi hanno tutti dei problemi a inserirsi nella società, sono delle talpe solitarie e cieche che si trovano più a loro agio sottoterra, nel buio, incapaci di vedere gli altri e di relazionarsi a loro. David fa un lavoro che non gli piace, è bistrattato da tutti, quando conosce una ragazza che prende l’iniziativa, poi si spaventa e si ritrae. Giorgia è di un anticonformismo che sfiora il ridicolo, aggressiva, mascolina fino al punto da improvvisarsi picchiatrice. Martina, l’assistente del veterinario con cui all’inizio esce David, spigolosa e vendicativa, ama tanto gli animali proprio perché non riesce a instaurare rapporti non lavorativi con il genere umano. Libero, il personaggio più azzeccato (nonché il meglio recitato, nell’ottima interpretazione di Angeletti, l’unico a non utilizzare un tono sopra le righe pur essendo il solo carattere che lo giustificherebbe), è un concentrato di tutte le fobie dell’era moderna: terrorizzato dal carbonchio, dal mondo del lavoro, dai maniaci assassini di cui parlano i trattati di psicopatologia criminale che divora incessantemente. Libero non esce mai di casa e osserva il mondo attraverso l’analisi della spazzatura del vicinato.
Sarà proprio la necessità di relazionarsi fra loro che, nel corso del film, farà recuperare ai personaggi-talpe la “vista” su di loro e sui loro sentimenti: Adriano (proprio curando fisicamente la talpina affidatagli da Giorgia) prenderà coscienza dei propri desideri. Giorgia, cacciata via dalla caserma, svilupperà la propria femminilità e si lascerà trasportare dall’amore. Martina metterà da parte i pregiudizi diventando amica di Giorgia. Libero, per aiutare il fratello in difficoltà, uscirà di casa. Tutti quanti si costruiranno un futuro insieme fondando un centro per il recupero di animali sottratti ai bracconieri. Peccato solo per l’infelicissima massima conclusiva: “In fondo siamo tutti un po’ bestie!”
Il film vorrebbe accostarsi al filone di Santa Maradona (Marco Ponti, 2001), ma non ci riesce del tutto: le battute sono talvolta godibili ma non hanno l’universalità di quelle di Libero De Rienzo, le situazioni sono troppo marginali per poter creare immedesimazione (un conto era identificarsi in un laureato in Lettere disoccupato e in uno sfaccendato criticone, un altro immedesimarsi in uno spalaletame allo zoo innamorato di una soldatessa e in uno psicolabile). Una talpa al bioparco rimane comunque una commediola carina, solare… come ce ne sono tante.
Curiosità
Per meglio entrare nella parte Giorgia Surina ha frequentato un corso di sopravvivenza in una vera caserma, con tanto di elmetto, scarponi e fucile da dieci kg.
La scena finale avrebbe dovuto comprendere molti più animali di quanti effettivamente ve ne compaiano: al momento delle riprese le giraffe e molti altri animali non se la sono sentita di uscire dai camion.
La colonna sonora inizialmente comprendeva Beck, RATM, Violent Femmes e altri, poi, per meglio avvicinarsi alla realtà dei protagonisti, si è deciso di passare a “equivalenti” italiani come Bugo, Linea77, Tre Allegri Ragazzi Morti.
Link correlati:
• Intervista a Fulvio Ottaviano e Giorgia Surina
A cura di
in sala ::