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cultura dell'immagine e della parola

Il villaggio globale

Il villaggio globale

Il sonno della ragione
di Roberto Monzani 7 su 10

«El sueño de la razòn produje muestros», è il concetto con il quale Francisco Goya apostrofò la fine di un’era: il sonno (o il sogno, per chi volle vedere una critica al secolo dei lumi) della ragione produce mostri. Posta la dovuta differenza tra il cineasta indio-americano ed una dei più fini intelletti della cultura europea, rimane, alla fine della proiezione del nuovo lungometraggio di Shyamalan, la sensazione che il regista in qualche modo abbracci le riflessioni del pittore e poeta spagnolo.
The Village è una parabola sul villaggio globale, sulla necessità nella cultura occidentale di nuove incertezze, per mantenere il senso di sicurezza precaria che contraddistingue le scelte correnti della politica occidentale. Ma è molto di più. È la metafora di una continua lotta con il dolore in un mondo che non accetta la sofferenza. È anche la vittoria della psicologia sulla sociologia, come a dire che non bastano dei meccanismi per giustificare i comportamenti dei singoli; l’individuo rimane comunque un unicum, grazie soprattutto alle proprie scelte, anche all’interno di una società fortemente gerarchizzata.
Non sono, infatti, nè le regole nè gli automatismi, che si generano e che ne derivano, a poter modificare l’essere umano, sia nelle sue necessità che nelle sue ambizioni.

Shyamalan, tratteggia questo mondo con grande abilità, riuscendo a creare nello spettatore una sorta di confusione emozionale; uno stato d’animo che non è volto, come in alcuni suoi lavori precedenti, alla preparazione di un climax, ma più semplicemente alla continua ricerca di uno stimolo di identificazione dello spettatore nell’abitante del villaggio.
Un punto a sfavore della pellicola lo si può individuare, invece, in alcune scelte di marketing della casa di distribuzione italiana, soprattutto se confrontato a quanto fatto, dalla casa di produzione, nei paesi di lingua inglese. Infatti, in terra anglosassone, la pellicola è stata anticipata da una campagna pubblicitaria per certi versi simile a quella di The Blair Witch Project (id., Daniel Myrick, Eduardo Sanchez, 1999). Un progetto volto ad enfatizzare lo stato di angoscia dell’abitante-spettatore. Ne sono un esempio i manifesti che, la scorsa estate, hanno tappezzato le città britanniche; locandine che, senza dare alcun riferimento, anticipavano le tre regole fondamentali del villaggio: mai vestire di rosso, mai entrare nel bosco e prestare sempre attenzione alle campane d’avvertimento in caso di una “Loro” venuta.

Infine, in molti riconosceranno nel villaggio anche una metafora del cinema stesso. La forza di un mezzo di finzione che fa dell’accettazione dei propri meccanismi di messa in scena la capacità di rappresentare, e quindi un po’ più sottilmente creare, un’identità in cui riconoscersi. Un po’ come succede ad Ivy, una dei protagonisti, che imparerà ad accettare e ad essere parte delle regole “non dette” del villaggio e dei suoi meccanismi.
In quest’ottica possiamo forse inquadrare il cameo di Night Shyamalan. Un’apparizione, la sua, alla fine della pellicola, nei panni di un personaggio che, senza dover qui svelare nessun retroscena, possiamo definire super partes. Ovvero qualcuno dotato di un punto di vista privilegiato, e quindi un profondo conoscitore del meccanismo di finzione, che anima sia il villaggio ai bordi del bosco di Covenant, sia l’intero mondo cinematografico.

Una bolla di sapone
di Enrico Bocedi – 5 su 10

Il nuovo e atteso lavoro di M. Night Shyamalan esce finalmente nelle sale, portando con sé numerose aspettative. L’ex enfant prodige di Hollywood ci ha, infatti, abituati all’originalità dei suoi film, in cui pochi colpi di scena sono in grado di sovvertire l’ordine logico della storia: succede mirabilmente ne Il sesto senso (The sixth sense, 1999), e si ripete, in misura minore, anche in Unbreakable – Il predestinato (Unbreakable, 2000) e in Signs (id.,2002). Adesso è, quindi, scontato aspettarsi, dopo una storia che pare non avere una particolare ragione d’essere, un paio di colpi di scena che giustifichino la realizzazione del film. Ed è proprio questa la nota negativa di una pellicola che, altrimenti, avrebbe tutte le carte in regola per essere di buon livello.

Prima di tutto, il cast è di grande qualità, con attori esperti e noti al pubblico (Sigourney Weaver, William Hurt) insieme alle giovani rivelazioni Joaquin Phoenix (Il gladiatore, Signs) e Adrien Brody (Il pianista, Summer of Sam). In secondo luogo, la trama offre alcuni ottimi spunti per creare suspense ed emozione nello spettatore, ma essi non vengono sfruttati a dovere, per cui il risultato è, a tratti, la perdita del ritmo e l’avanzare della noia. Allo stesso tempo, le spaventose “creature innominabili” vengono accettate con innaturale tranquillità, lasciando l’impressione che all’interno del villaggio nessuno sia dotato di temerarietà o, peggio ancora, non ci sia nessun bambino la cui curiosità superi la paura.

Efficaci alcune scene in cui l’accostamento tra i colori primari giallo (il bene) e rosso (il male) rende quasi fisiche le sensazioni provate dai personaggi (si veda per esempio la scena in cui la protagonista Ivy si ritrova, terrorizzata, in una distesa di bacche rosse). Anche in questo
caso, però, Shyamalan opera con insolita leggerezza, dimenticandosi di spiegarci perché il rosso attragga le creature del bosco; sullo schermo, infatti, ci viene mostrata solamente un’intera comunità che crede fermamente in questo dogma, senza che ce ne venga fornita la benché minima motivazione plausibile, anche dopo l’immancabile colpo di scena sovvertitore.

Si è detto che Shyamalan abbia voluto offrire un’immagine dell’America di oggi, chiusa su se stessa per la paura di nemici immaginari, che spesso si crea da sola per giustificare un isolazionismo culturale a cui però, secondo il regista, dovrà in qualche modo rinunciare prima o poi. La mia sensazione è che si tratti di un film con delle buone potenzialità, e che avrebbe suscitato apprezzamenti se fosse stato l’opera prima di un regista emergente; ma, Shyamalan ci aveva già colpiti con alcune sue opere come Il sesto senso, e, di conseguenza, le nostre aspettative nei suoi confronti sono cresciute notevolmente.

Curiosità
Tra le sorprese positive, il debutto cinematografico come protagonista dell’attrice Bryce Dallas Howard, giovane e bella figlia del famoso regista Ron Howard.

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