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L’apocalisse del cinema

L'apocalisse del cinema

Innanzitutto va precisato cosa non è Resident Evil: Apocalypse. Non è un film horror. Non è uno zombie movie. Non è un videogioco.
Il problema è proprio quest’ultimo. Se fosse un videogioco, il film sarebbe decisamente riuscito. Due belle ragazze, di cui una con poteri da supereroe, si ritrovano con un’enorme quantità di armi e la scaricano su mostri di varia entità, fino ad arrivare all’ultimo livello e allo scontro finale. Il problema è che lo spettatore, etimologicamente, è colui che guarda, senza interagire. E osservare per novanta minuti questo film equivale a fermare lo zapping su uno di quei canali satellitari che mostrano videogiochi ventiquattrore su ventiquattro. Senza però avere la possibilità né di cambiare canale, né di attaccare la playstation e mettersi a giocare.
Non si tratta poi di un film horror. Questo semplicemente perché a parte un paio di scariche di adrenalina non c’è una tensione costante, né un qualsivoglia motivo per cui lo spettatore dovrebbe avere paura. Infine non è uno zombie movie perché i morti viventi, a differenza del primo film della serie, sono posti in secondo piano, finendo per non essere null’altro che carne da macello. Addirittura non vengono mai chiamati zombie, ma solo non-morti, quasi per non rischiare di finire in un genere troppo di nicchia per il grande pubblico affamato di action movie.

Un capitolo a parte è quello riguardante le citazioni, che quasi sempre riguardano proprio gli zombie. Spesso gratuite e senza particolare interesse per la trama, finiscono anzi per mettere in evidenza incredibili ingenuità nella sceneggiatura. Un esempio per tutti. Quando i nostri eroi per cercare un luogo sicuro si rifugiano in un cimitero, scelta di per sé esecrabile, i morti risorgono dalle tombe in una citazione romeriana e iniziano ad attaccarli. Gli sceneggiatori si sono forse dimenticati che in questa storia si risorge per colpa di un virus, ben difficilmente trasmissibile sottoterra?
I personaggi del film, monocordi come ci si può aspettare da una pellicola del genere, sono poi scontati in ogni loro mossa, dagli occhi penetranti di Milla Jovovich, che come da copione si scopre sempre un po’ di più, forse in attesa di un terzo seguito in bikini, alla fredda sensualità di Sienna Guillory, per cui si prefigura un roseo futuro nel cinema di serie b, ai drammi interiori del mostro cattivo Nemesis, copia sbiadita di un Frankenstein armato fino ai denti.

Alexander Witt, già direttore di seconda unità in successi come Il gladiatore (Gladiator, Ridley Scott, 2000) e La maledizione della prima luna (Pirates of the Caribbean, Gore Verbinski, 2003), qui all’esordio alla dietro la macchina da presa, registra tutta questa piattezza senza alti né bassi, muovendosi lineare tra i proiettili senza rischiare alcunché.
Alla fine del film insomma non rimane che tornare a casa a giocare con l’ultimo videogioco su Resident Evil, oppure a guardare un horror di Carpenter o uno zombie movie di Romero. In ogni caso rifarsi gli occhi davanti ad un’opera compiuta, dopo aver assistito al deludente intreccio di generi che risulta essere questo Apocalypse.

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