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cultura dell'immagine e della parola

I bachi della memoria

I bachi della memoria

Se mi lasci ti cancello è la riprova che la distribuzione italiana è capace di distorcere anche la versione originale del titolo, a costo di volerlo rendere un dolcetto goloso per i consumatori di paccottiglia fintoromantica.
L’ultimo confine abbattuto è la sottrazione in prima battuta allo spettatore, di un’essenziale chiave di lettura del testo filmico (il titolo appunto), così com’era stata pensata dal suo sceneggiatore Charlie Kaufman (Human nature, Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee). In originale, Eternal Sunshine of the spotless mind, è un verso di un’opera scritta da Alexander Pope (Eloisa to Abelard), che racconta di uno scambio epistolare tra due innamorati, Eloisa e il monaco Abelardo:

«How happy is the blameless vestal’s lot!
The world forgetting, by the world forgot.
Eternal sunshine of the spotless mind!
Each pray’r accepted, and each wish resign’d
».

Il titolo originale è una delle piste di lettura che conduce direttamente dentro la parola, intesa nel suo senso fisico di supporto cartaceo, di antica tecnica di archiviazione e memorizzazione sicura.
I pochi carteggi e scambi di parole effettivamente avvenuti tra i personaggi (la lettera d’amore, il biglietto lasciato sul parabrezza dell’auto, le registrazioni su audiocassetta), dimostrano come la parola assume il ruolo di unico ponte di salvezza tra la persona e la sua memoria. Essa si trasforma in una cassaforte per salvare la sostanza di una relazione, diventa una specie di farmaco che nelle indicazioni riporta però l’avvertenza: «Si richiede volontà di conservazione e salvaguardia», proprio perché le parole e gli archivi, com’è noto, sono precari, biodegradabili, delicati. Ma il messaggio che ne scaturisce è che la parola, se usata e curata bene (e l’impresa è ardua), può diventare un’ottima arma contro la bomba atomica della superficialità che tutto appiattisce (vedi il personaggio di Joel) e della banalità (vedi personaggio di Clementine) che fa solo rumore, parla ininterrottamente, senza comunicare nulla.

«Niente è più sicuro nel nostro cervello», lo dice il cinema di Kaufman e Gondry, facendo eco alla frase che riecheggia nelle proiezioni di tanto cinema contemporaneo: «Niente è più sicuro nei nostri occhi». Sfiducia nella memoria, sfuocata, sgranata, mutilabile e deformabile, nello sfondo di una sfiducia più vasta ed epocale, di vera e propria crisi della forma nel cinema, quella nella visione, nell’immagine in generale, che è solo superficie e non affonda nella conoscenza. Così Eternal Sunshine parla metaforicamente dell’incapacità del cinema di incidere e permanere nella memoria degli spettatori. Tutto passa, si confonde, si sovrappone si dimentica.

La regia di Gondry traduce con un continuo rewind sulle immagini-ricordo del passato, l’enunciazione del dilemma posto da Kaufman. Come se smanettasse la pulsantiera della sua personale memoria, ritroviamo molti spunti visivi dei suoi videoclip, profondamente legati ai suoi ricordi e al suo immaginario infantile. Il vortice visivo che ne scaturisce non è più semplice immagine: diventa rielaborazione e lettura, non semplice visione; diventa testo complesso di chi sa che lo splendore eterno di un’immagine perfetta o di una “memoria senza macchie” (spotless mind) non è possible, ma l’operazione su di essa, può servire a conoscersi e riconoscersi.

Filmografia:

Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004)
Human Nature (2001)

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