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L’impossibile divenire della poesia, ovunque sia

L’impossibile divenire della poesia, ovunque sia

Con un occhio rivolto alle tematiche pirandelliane e pervaso da ritoccati echi danteschi, Michele Placido con Ovunque sei smarrisce la sincerità narrativa dei suoi precedenti lavori, costruendo un’opera difficile sull’inevitabilità della morte che l’amore porta con sé ma la cui ambizione non riesce ad essere pari alla sua realizzazione.
Il film, sin dall’inizio, intende vestirsi di una solennità visiva e semantica che però presto si traduce irreparabilmente più in una sterile ed impacciata opera intellettuale kitsch che in un’opera esteticamente valida.

L’errore che in gran parte pregiudica la riuscita finale del film è l’eccessiva ridondanza di significato che lo stesso regista imprime alle immagini, violentandole con un involontario senso di stucchevolezza che scorre soprattutto tra le battute troppo forzate dei dialoghi: la loro aspirazione a pura prosa letteraria incarnata cinematograficamente non fa che condurli in un vortice di mielosa incomprensibilità, provocando così voragini di senso all’interno della linearità narrativa, che, infatti, pecca in fluidità e ordine causale. Ogni accurata trovata visiva, alla lunga, non diventa altro che un insistente abuso espressivo perpetuato sulla carne di quest’opera: l’utilizzo ripetuto di deep/soft focus per focalizzare i diversi punti di vista presto si stereotipa, le pause ed i silenzi sono talvolta assordanti per la loro eccessiva lunghezza e la drammatizzazione innescata da primi piani e rallenti risulta alquanto scontata e pesante.

La stessa simbologia zoofila (lo scarafaggio della morte, la coccinella del destino) risulta più un calcolo imposto al testo che un’eloquente strategia significante.
Proprio per queste ragioni risulta quasi naturale paragonare quest’ultimo singhiozzante film di Placido ad uno di quei pazienti morituri che il dottor Matteo/Stefano Accorsi, nelle sue missioni quotidiane, cerca inutilmente di trattenere in vita.
Ovunque sei è anche questo: un’agonia della Poesia.
Il regista pugliese ha, così, tra la mani una tragedia sull’infinita incomprensibilità del destino e che ci illustra come il vero amore si consumi solo per i fantasmi della memoria, la cui apparente ubiquità perpetua il senso del nostro vivere. Altamente filosofico e poetico – altamente pirandelliano. Tuttavia l’autore con quest’artificialità discorsiva imposta alla narrazione non fa altro che violare ripetutamente la ragion d’essere unica dell’arte poetica: la sua innata spontaneità. Ineluttabilmente tale svarione non può che produrre un’ imitazione, un’ opaca contraffazione della vera ubiquità – nel film ostentata continuamente e per questo irrimediabilmente taciuta – della Poesia che è da sempre un “essere” naturale e giammai un “divenire” artefatto.

Curiosità
Michele Placido è un grande appassionato di Luigi Pirandello e Ovunque sei ne è una dimostrazione: alcuni dialoghi sono tratti direttamente dall’opera L’uomo dal fiore in bocca – il protagonista del film Matteo ha una doppia vita, proprio come Mattia Pascal (Matteo/Mattia). La storia, inoltre, si ispira ad altri due racconti dell’autore siciliano, La carriola e All’uscita.

Filmografia da regista
Pummarò (1990)
Le amiche del cuore (1992)
Un eroe borghese (1995)
Del perduto amore (1998)
Un viaggio chiamato amore (2001)
Ovunque sei (2004)
Romanzo Criminale (in produzione)

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