Spike la odia? (l’America)
I titoli di testa scorrono su banconote fluttuanti a tutto schermo fino a posarsi su un biglietto da tre dollari con l’immagine di George W. Bush e del logo Enron. Il riferimento è alla multinazionale protagonista dello scandalo finanziario di cui in questi giorni in America si celebrano i processi e in cui risultano implicati anche i vertici dell’attuale governo. Un film che, dice il regista, «Parla di sesso, denaro, avidità e politica. Una Miscela esplosiva tra corruzione e procreazione». John (Anthony Mackie) nero, bello, trentenne laureato ad Harvard e vice presidente di una grande azienda, scopre il marcio che si annida dietro il marketing dei sorrisi e l’altisonante gergo aziendale e “fa la cosa giusta”. Verrà licenziato e le sue entrate, variando «tra zero e il debito nazionale lordo», lo costringeranno ad accettare un lavoro da inseminatore di donne omosessuali. Diventa, suo malgrado, protagonista di due storie scandite dal ritmo del dollaro che Lee cerca di fondere con sarcasmo, leggerezza e indignazione. Se La 25° ora (25th hour, 2002) era un film “emozionalmente necessario”, She hate me lo è eticamente.
Denuncia irriverente
Tra commedia e film di denuncia, She hate me propone momenti di cinema brillante e irriverente, come le memorabili sfilate davanti a John di donne nere dell’upper class, bellissime, ricche e molto glamour e di femmine rudi e dai modi spicci; la serie di 19 orgasmi con tanto di spermatozoi allegri e stanchi e le 19 urla in sala parto montate in strettissima sequenza. Ormai padrone delle tecnica digitale, Lee mescola non solo i generi cinematografici ma anche gli stili di ripresa alternando realismo, cartoon e docu-fiction come nella riuscita rievocazione in tono surreale del caso Watergate in cui la guardia giurata da cui partì la denuncia è circondata e derisa dagli uomini di Nixon.
Le paure yankee ribaltate
I due temi trattati non si integrano con fluidità e la requisitoria in aula di John (ma è il regista che parla) contro l’ipocrisia americana suona didattica. L’epilogo, sentimentale e paradossalmente hollywoodiano, stride con la sensibilità mascherata di ironia mostrata fino a quel momento. La sensazione del finale prolungato e sottolineato non svanisce neanche con l’arrivo degli splendidi titoli di coda che scorrono dentro una banconota che vince sempre ma non fluttua più come all’inizio. Pur allontanandosi dalla coscienza inquieta dei protagonisti de La 25° ora, Lee ha comunque il merito di ribaltare l’ossessione più ricorrente dagli anni 50 in tanta letteratura e pellicole USA: la psicosi di una minaccia esterna da parte delle forze del male. In She hate me il male viene dall’interno e gli oscuri nemici sono l’ipocrisia dei governanti-affaristi e il loro denaro che misura ogni cosa. Spike la odia? (L’America). Questa America sicuramente sì.
Curiosità
Nel cast diversi “caratteristi” di valore tra cui un fantastico John Turturro nei panni di un boss italo-americano (e padre di Monica Bellucci!) che recita per John la parte di Marlon Brando ne Il padrino (The Godfather, Francis Ford Coppola, 1972) Ellen Barkin (Seduzione pericolosa, Harold Becker, 1983) perfetta manager dagli occhi lucidi e dallo sguardo frustrato e malinconico e Woody Harrelson (Assassini nati, Oliver Stone, 1994), il cinico presidente della compagnia. La scena del cartoon degli spermatozoi è un omaggio/citazione al Woody Allen di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso e non…, (Everything You Always Wanted to Know About Sex But Were Afraid to Ask, 1972). Il film è stato presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Venezia dove Spike Lee era anche in veste di giurato.
A cura di Raffaele Elia
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