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L’invisibilità del proprio sangue

L’invisibilità del proprio sangue

Raccontare con uno stile riflessivo e sottrattivo, mai scontato e mieloso, le storie dell’Umanità ai bordi della vita in cui la vera magia è data dall’avverarsi delle piccole cose e favole nascoste che si annidano sotto le più grigie realtà. Questo è stato ed è Gianni Amelio.
Le chiavi di casa è un film coraggioso, asciutto da quel pietismo ridondante che domina molte produzioni nostrane e regala attimi di pura poesia. Ma non è un capolavoro. Il ritmo zoppica e certe volte affatica la lettura con compiacimenti un po’ forzati. Ciò che colpisce tuttavia del film, oltre all’abilità interpretativa del giovane Andrea Rossi, è la cura dei personaggi – per niente scontata – ma sempre credibile e struggente.

Il caos del silenzio interiore e la stella danzante

Un infermiere sta prelevando il sangue al giovane Paolo: dinanzi a quella scena il padre, Gianni, scappa via impaurito. È la scena chiave del film. È il momento in cui l’uomo scorge sangue del suo stesso sangue – la sua essenza rifluire in un corpo Altro, per lo più disabile e così estraneo alla sua natura. Nella fuga da quella visione, sarà, però, Gianni a misurarsi con il proprio handicap umano ed a riscoprire una genuinità che in quella sua perfezione anatomica non trova spazio. Le chiavi di casa è soprattutto questa intelligente dialettica di opposti alla rovescia in cui l’adulto è colui che deve ancora imparare a crescere e a personalizzarsi. Per tutto il film è Paolo che rimprovera e corregge il padre, imboccandolo addirittura, è lui che gli insegna a muoversi nella fantasia (deliziosa la scena in cui il ragazzo gli insegna a fumare una sigaretta “invisibile”), gli insegna a socializzare, lo coccola la mattina ed è soprattutto lui a prenderlo per mano e a guidarlo nell’oscurità.
Non è un caso che il film si concluda con un ingenuo e allo stesso tempo solenne, atto consolatorio del piccolo all’uomo «Non si fa così». È una Pietà michelangiolesca capovolta: il figlio sostiene sulle proprie ginocchia malate e deboli un padre ancora non maturo per definirsi tale. Gianni appare, infatti, sempre impacciato, incapace di farsi capire, perso nei suoi sguardi alienati e circondato da un silenzio assordante a cui solo la vivacità del figlio riesce a porre fine. È lui che gli consiglia di non far rumore con il videogioco all’inizio, che gli intima di abbassare il volume alto della televisione e di non suonare più il clacson dell’automobile, alla fine, ed è sempre Gianni che avvisa Nicole di spegnere il suo cellulare, così per non spezzare il silenzio dell’ospedale. Egli vive immerso in conversazioni sibilline e avvolto in spersonalizzanti suoni di sottofondo (metro, bus, treno) – suoni esterni che si avvicinano tanto al rumore della sua coscienza e di quella porta che sbattendosi per sempre, gli avrebbe stravolto l’esistenza.
La porta dietro la quale Paolo nacque e la mamma tragicamente morì.
L’alienazione sonora è anche un’alienazione visiva: Gianni infatti non “guarda” mai. I suoi occhi, sin dall’inizio, non si concentrano mai sull’oggetto che fissano, appaiono vuoti, fatti di visioni inconsistenti – “disabili”. Paolo, nell’handicap del suo strabismo, paradossalmente guarda ovunque: i suoi occhi riescono ad arrivare in qualsiasi immagine, se ne impossessano e ne danno un senso – la sua parola storpiata dalla malattia è perfezionata dalle sillabe del suo sguardo. Egli stesso lo dichiara «Porto gli occhiali. Così vedo doppio.» Paolo infatti, grazie alla sua fertile immaginazione, riesce sempre a vedere “oltre”. Oltre, al punto di essere stato persino sulla Luna. E chissà in quale di quegli squallidi ambienti in cui egli ha vissuto, il suo amore per la vita gli avrà permesso di vedere la magnificenza lunare?
Guardandolo attentamente muoversi mi sembra di rileggere Nietzsche, il quale affermava «Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante».
E di fatto dal caos muto di Gianni ha preso vita un essere dolce, che in quei suoi passi instancabili («lui si muove anche la notte») e stentati ci appare proprio come una fragile stella danzante a cui viene naturale andarle incontro, con le lacrime agli occhi, e stringerla in un tenero abbraccio e non lasciarla più andare – perché perderla sarebbe come far morire quella parte di se stessi, che, pur scongiurando, non fa altro che insegnarci a vivere e a cui è lecito consegnare per sempre le chiavi di casa della nostra anima.

Curiosità
Nel film Nicole (Charlotte Rampling) consiglia a Gianni di leggere un libro «che li riguarda molto»: quel libro è Nati due volte, l’opera di Giuseppe Pontiggia, autore recentemente scomparso, che ha infatti ispirato Gianni Amelio. Il così prolungato silenzio del regista calabrese è stato in parte dovuto a dei problemi contrattuali che legavano Amelio con Vittorio Cecchi Gori, la cui casa di produzione era sprofondata in una gravissima crisi finanziaria. Il film è stato presentato a Venezia sei anni dopo la presentazione dell’ultimo film di Amelio Così ridevano, vincitore tra l’alto del Leone d’Oro. Il film è dedicato ai due Andrea: Andrea Rossi, protagonista del film nel ruolo di Paolo, e Andrea Pontiggia, figlio dello scrittore Giuseppe. Le chiavi di casa è stato recentemente selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar.


Filmografia

Undici immigranti (1967)
Il Campione (1967)
La Città del sole (1973)
Bertolucci secondo il cinema (1975)
Il Piccolo Archimede (1979)
In cammino (1979)
Colpire al cuore (1982)
I Velieri (1983)
Vocazione (1984)
Passeggeri (1984)
Idalina (1984)
La Squadra del lunedì (1985)
Camera oscura (1985)
6 Mina (1985)
I Ragazzi di via Panisperna (1988)
Porte aperte (1990)
Il Ladro di bambini (1992)
Il Mercante (1992)
Lamerica (1994)
Non è finita la pace, cioè la guerra (1997)
Così ridevano (1998)
Le chiavi di casa (2004)

• Vai alla successiva recensione di Le Chiavi di Casa di Guglielmo Maggioni

Link correlati:

• Speciale sulla 61° Mostra del Cinema di Venezia

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