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Quell’11 Settembre cileno

Quell’11 Settembre cileno

Andrés Wood firma un capolavoro di straordinaria sensibilità e di profonda introspezione psicologica, affidandosi allo sguardo smarrito di alcuni adolescenti cileni che vivono in prima persona il passaggio traumatico e cruento dalle liberalità del governo socialista di Salvador Allende al golpe fascista e sanguinario del generale Augusto Pinochet. Un colpo di stato, eterodiretto dagli Usa, che nel corso degli anni represse nel sangue ogni tipo di opposizione, mietendo più di 30mila assassinii mirati tra la popolazione civile. Gabriel Garcia Marquez, nello scritto Patria Grande, sintetizzò così quell’avvenimento epocale: “Il dramma accadde in Cile, per disgrazia dei cileni, però passerà alla storia come qualcosa che irrimediabilmente coinvolse tutti gli uomini del tempo, destinato a rimanere per sempre nelle nostre vite”. E in effetti fu proprio così. Ma mai nessuno avrebbe potuto immaginare che quell’11 Settembre 1973, giorno del golpe e dell’assassinio di Allende, col carico di uccisioni che ne è seguito, per orrenda nemesi storica si sarebbe replicato nell’attacco alle Twin Towers dell’11 Settembre 2001, dove perirono quasi 3.000 persone non meno innocenti dei civili cileni appena ricordati.

Osservo questo, perché i due eventi spartiacque del nostro recente passato consentono una doppia lettura del film di Wood. Da una parte, infatti, vi è il microcosmo adolescenziale proposto da Machuca e compagni, dove dalla presa d’atto delle ingiustizie patite nel privato si passa alla presa di coscienza che prelude ad un impegno pubblico. Dall’altra, tra le righe, lo spettatore non solo può far proprie certe basilari istanze di libertà, ma procedendo a braccetto con la maturità dei ragazzi ha la possibilità di proiettare nel presente tutte le proprie considerazioni sul colonialismo di ieri e il terrorismo di oggi. Machuca, insomma, a differenza di altri è un film che lascia davvero qualcosa all’uscita dalla sala. Un qualcosa che, a seconda delle sensibilità, può tradursi in angoscia, rabbia, sdegno, ma anche in illuminazione, apertura mentale e in impegno morale contro le ingiustizie, prima che civile.

Inoltre, tramite il film di Wood, seguendo il filo logico di una sceneggiatura perfetta scandita da numerose soggettive, abbiamo la possibilità di focalizzare passo passo il giudizio dei ragazzi sul comportamento degli adulti. Giudizio che muta con l’accrescere della presa di coscienza e quindi con l’accresciuta maturità degli adolescenti stessi. Un’esperienza in “tempo reale”, per così dire, che non avevo mai provato così intensamente in altri film. Segno di un cinema maturo, che muove dal particolare per arrivare all’universale, che parte dal racconto delle piccole scelte per arrivare a quelle di un intero popolo. Un cinema che i vari Rosi, Pontecorvo e Montaldo sapevano ben rappresentare, ma che i nuovi autori italiani, a parte qualche rara eccezione (vedi Salvatores in Io non ho paura), hanno dimenticato tra le grammatiche dimesse e gli archivi del nostro miglior cinema.

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