L’unico processo quasi tutto da ridere
Quando un qualsiasi bar di un qualsiasi paese entra in diretta in uno studio televisivo, sotto la sapiente supervisione di un arbitro che al posto di starsene sopra le parti di volta in volta alimenta la conversazione e la polemica appoggiando le tesi più diverse, si ottiene uno show caratterizzato da urla, accavallarsi di voce, applausi, fischi e silenzi.
Il processo di Biscardi è questo, una trasposizione riveduta e corretta del bar sotto casa, dove il lunedì tra un cornetto ed un caffè si discute del Campionato recriminano per l’operato dell’arbitro, sbeffeggiando l’avversario di turno e sognando per la propria squadra una campagna acquisti faraonica.
Può piacere oppure no, ma sono ormai venticinque anni che questo show va in onda puntuale e gli ascolti seguono un trend costantemente crescente. Ma non solo, ormai Biscardi si dovrebbe esser guadagnato una voce all’interno delle enciclopedie e dei vocabolari associando al termine “biscardismo” un significato di polemica che nasconde un complotto, una cospirazione, una truffa ordita dai potenti di turno.
Lo studio televisivo si sdoppia in due sedi Milano e Roma, divisione che crea già nella forma una netta differenza tra il pensiero delle due città italiane assurte a simbolo rispettivamente del Nord e del Sud. In ogni studio, nel ruolo di opinionisti, ci sono giornalisti sportivi e non, politici, critici televisivi, presidenti di squadre che per una sera indossano l’abito dell’esperto, senza lasciare nell’armadio quello di tifoso sfegatato.
E ritroviamo così, senza peraltro esser preparati allo shock, il ministro Gasparri esser d’accordo con il giornalista del Tg3 Mannoni sul rigore assegnato da Collina, il vicedirettore del Tg5 Sposini che va a braccetto con l’ex direttore della Padania Moncalvo.
Naturalmente riuscire a capire il contenuto degli interventi è impresa assai ardua visto che costantemente, ogni cinque secondi, qualcun altro interviene sovrapponendo la sua voce in un batti e risposta contemporaneo, con un’unica eccezione riservata al direttore de “Il Giorno” Xavier Jacobelli.
A lui gli studi sia di Milano che di Roma riservano un silenzio irreale, e persino il pubblico presente lo ascolta, senza ridere, con gli stessi occhi con cui i fedeli ascoltano l’Angelus domenicale. Durante i suoi interventi la telecamera stringe in un primo piano del direttore, lasciando ai telespettatori da casa la possibilità di immaginare uno studio dove gli ospiti prendono fiato, si massaggiano le corde vocali, sorseggiano spremute di arancia aspettando la fine del monologo per riprendere la contesa.
Ma il vero burattinaio, rimane il mitico Aldo Biscardi, un giornalista che appena può si autocelebra (senza presunzione, in verità), ricorda come il suo processo sia in onda da venticinque anni, elogia i suoi scoop (o meglio “Sgub”, come direbbe lui), si attribuisce la paternità di molte battaglie come la moviola in campo, il tutto condito da un italiano tanto originale quanto conturbante.
Nonostante ciò, questo show rimane un prezioso contributo per capire il perché il calcio sia un fenomeno non solo sportivo, ma anche sociale, così amato ed odiato allo stesso tempo, senza possibili mezze misure. Infatti se da un lato lo si vive anche dopo la fine della partita discutendo sulla bravura di quel fantasista, delle prodezze del portiere, allo stesso tempo si discute di violenza sugli spalti e di errori arbitrali arrivando a supporre che tutto sia frutto di un disegno già precostruito, mettendo in circolo quel clima di sospetto descritto perfettamente dalla massima andreottiana “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.
Il processo di Biscardi è la perfetta incarnazione della dietrologia che ruota intorno al pianeta calcio ed è l’ unico reality show vero fino in fondo della televisione: genuino, spontaneo, irriverente, dove ogni ospite interpreta la parte di se stesso, senza finzioni, ricordando in ogni istante il segreto del programma: “nessuno è imparziale, in fondo siamo tifosi”. In ogni caso diventa impossibile dimenticare il momento più divertente della trasmissione quando intorno alla mezzanotte quella povera valletta un po’ assonnata, un po’ annoiata, con un’espressione del viso tra il “chi me l’ ha fatto fare” e il “anche questa è andata”, con un ultimo slancio di vitalità saluta il pubblico e augura la buonanotte, probabilmente sperando che le ultime tre ore vissute siano state solamente un sogno.
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