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Intervista a Michelange Quay

Prima di tutto vorrei conoscere le tue impressioni sul Milano Film Festival: non si vedono spesso eventi come questo in Italia. Vorremmo conoscere a riguardo il parere di un regista straniero.
L′evangile du cochon créole
Wow, che festival! Non sono mai stato a un festival dove lo staff fosse così coinvolto, così entusista per il cinema. Il MFF ha un’atmosfera estremamente generosa, positiva e giovane che credo abbia permeato l’intero evento, il pubblico, i registi… E’ raro partecipare a un festival dove tutti abbiano visto TUTTI i film. E’ anche raro trovare un festival che presenti i registi prima della proiezione del proprio film, e che il regista e alcuni dello staff dormino insieme, come abbiamo fatto al BINDA, la casa dei registi – ho fatto delle belle chiaccherate e conosciuto nuovi amici. E’ anche raro che si prendano sul serio i corti – un’ottima selezione di cortometraggi. Se eventi come questo non sono molto comuni in Italia, sono sicuro che lo sono anche in qualsiasi altro posto.

Vorremmo conoscere meglio il tuo background artistico: come hai iniziato la tua carriera di regista?

Ho trascorso tutta la mia infanzia a disegnare fumetti e mi sono imbattutto per caso nei film all’università. Da quel momento ne sono stato catturato.

Il tuo corto affronta delle tematiche molto profonde. Sembra autobiografico…

Il film sembra descrivere il mercato finanziario globale attraverso il linguaggio di qualche onnipotente Jehovah tropicale, un processo che pervade tutto, che è ovunque, che mangia, mastica, digerisce e caga tutto e tutti, il regista, il padre del regista, il film stesso, e se possibile, anche il pubblico che lo guarda.

Hai usato il linguaggio biblico per parlare della contemporaneità parodiando il Vangelo. D’altro lato descrivi riti e antiche religioni, quasi rivinnovate per la nuova fede: il capitalismo. Puoi chiarire meglio le tue idee riguardo la religione?

Non credo di avere alcuna teoria in particolare, ma so che mi piace il suono della religione, il sapore del rituale, la magia, la cerimonia, in tutta la sua gloria, la solennità e il kitsch. Probabilmente la chiesa e il cinema hanno molto in comune. In latino la parola “religione” deriva dall’idea di unire le cose, e il sermone di questo film unisce il Nord e il Sud, realtà e finzione, unisce la vorace economia mondiale a quella locale di Haiti, attraverso qualche folle battesimo da Vecchio Testamento. Andare al cinema può essere come un sogno a occhi aperti e per me questo aspetto rituale è così importante perchè forse le radici inconsce del film, come il teatro, la musica e le altre arti, sono nella religione.

Il tuo corto parla soprattutto delle differenze fra primo e terzo mondo, denuncia il capitalismo e mostra le sue vittime, ma allo stesso tempo suona come una dichiarazione orgogliosa: le cochon créole (il porco creolo) è ciò che noi mangiamo… Michelange Quay

Il film illustra una dinamica, una dialettica. Da un lato hai l’economia globale che divora ed è divorata, e dall’altro lato questo simbolo locale, il Maiale Creolo, che pretende di essere l’unico a divorare, rifiutando questo predominio, affermando di essere più antico, perfino eterno, invincibile, prima e dopo il mercato. C’è quasi un ritornello musicale e una replica: chi mangia, chi è mangiato? chi mangia, chi è mangiato? …

Perchè hai scelto proprio il porco creolo come simbolo così potente? Puoi spiegarci la metafora?

Il porco creolo è stato un potente simbolo fin dal “porcocidio” della specie alla fine degli anni 70. Ad Haiti, un paese che attraverso la storia ha sofferto per la sua indipendenza, rappresenta un martirio, un altro simbolo del prezzo della sovranità. Forse il porco creolo può essere un simbolo universale per il momento presente dove in così tanti paesi, con ogni referendum, con ogni riforma, con ogni cambio di regime, c’è la percezione che l’identità individuale si sta sacrificando nel nome di chi sa cosa.

Nel tuo corto le scene più shockanti sono quelle in cui i maiali vengono uccisi. Dove e come hai girato queste scene, e quale reazione pensi che abbia avuto lo spettatore guardandole? O meglio, quali reazioni/pensieri/idee volevi indurre?

Il luogo dove ho girato queste scene è il piazzale di una macelleria all’aperto, dietro il mercato, nella capitale di Haiti, Port Au Prince, e la desolazione estrema di questa location mi ha colpito – come se questo luogo fosse un’anticamera dell’inferno, un limbo, con un’atmosfera archetipica, simbolica. La sensazione che ho provato, e che forse ha provato anche il pubblico, è che questa macelleria all’aperto dietro il mercato è la nostra stessa civiltà.

Il movimento di macchina finale, una lunghissima panoramica a mezz’aria attraverso la città, è molto suggestiva. Come l’hai realizzata?

Non ve lo dico! Altrimenti non sarà più suggestiva!

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An interview with Michelange Quay: English version
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